Web bisbetico domato

Manuela Caputo,

Uomini-gomma«La Siae è il male». Questa fra­se, soprat­tut­to negli ulti­mi tem­pi, si è sen­ti­ta parec­chio, qua­si a rap­pre­sen­ta­re il dif­fu­so malu­mo­re ver­so le nor­me che rego­la­no il copy­right. Questo mar­chio è visto più come nero giu­sti­zie­re degli acca­ni­ti down­loa­der, che come rico­no­sci­to­re del­le pro­du­zio­ni artistiche.

In effet­ti, leg­gi che ridu­co­no la pos­si­bi­li­tà di dif­fon­de­re con­te­nu­ti mul­ti­me­dia­li – per evi­ta­re che sia­no copia­ti ille­gal­men­te – non man­ca­no. Tuttavia spes­so que­sti prov­ve­di­men­ti fal­li­sco­no nel rico­no­sce­re agli auto­ri quan­to è loro dovu­to. Si sti­ma che il 97,5 % di loro gua­da­gni meno di mil­le euro al mese attra­ver­so l’attuale siste­ma. Difficile quin­di – qua­si impos­si­bi­le – cam­pa­re d’arte. Non stu­pi­sce per­tan­to che la rea­zio­ne più comu­ne di fron­te all’affermazione «fac­cio il musi­ci­sta di pro­fes­sio­ne», sia soli­ta­men­te: «sì, e oltre a questo?».

Le attua­li nor­me non faci­li­ta­no nes­su­no: né gli arti­sti, né chi l’arte l’acquista. Le nuo­ve tec­no­lo­gie sono per­ce­pi­te mag­gior­men­te come poten­ti pro­di­gi elet­tro­ni­ci per otte­ne­re ser­vi­zi gra­tui­ti, che come mez­zi per dif­fon­de­re legal­men­te i pro­pri contenuti.

Risulta con­te­sta­tis­si­mo il Sopa ( Stop Online Piracy Act), pro­po­sta di leg­ge made in Usa con­tro la pira­te­ria onli­ne: con una sua appro­va­zio­ne, il mini­stro del­la Giustizia sta­tu­ni­ten­se potreb­be impor­re ai pro­vi­der di bloc­ca­re acces­so, pub­bli­ci­tà e finan­zia­men­to ai siti che pub­bli­ca­no ille­gal­men­te mate­ria­le pro­tet­to da copy­right. Sarebbe quin­di puni­bi­le anche solo lin­ka­re con­te­nu­ti che vio­li­no il dirit­to d’autore, in quan­to ne favo­ri­reb­be­ro la diffusione.

Non vedo non sento scimmieDi con­se­guen­za, i gesto­ri dei siti sareb­be­ro obbli­ga­ti a con­trol­la­re pre­ven­ti­va­men­te tut­to il mate­ria­le pub­bli­ca­to dagli uten­ti (impre­sa epi­ca se fac­cia­mo rife­ri­men­to a Twitter, Facebook o YouTube). Inoltre avreb­be­ro pote­ri mol­to ampi: fino alla cen­su­ra dei moto­ri di ricer­ca e all’intervento nel siste­ma Dns (“domain name system”) che distri­bui­sce i nomi dei siti web. Se la pro­po­sta di leg­ge pas­sas­se, si trat­te­reb­be di un pesan­te bloc­co allo svi­lup­po di nuo­ve idee e di un incre­di­bi­le ral­len­ta­men­to del­la rete. Un pò come se in auto­stra­da si faces­se­ro con­trol­li su ogni cosa tra­spor­ta­ta: ne deri­ve­reb­be­ro code infi­ni­te ai casel­li, nasci­ta di cor­sie pre­fe­ren­zia­li… In sostan­za: costi e tem­pi di per­cor­ren­za varia­no a secon­da del mag­gio­re o mino­re controllo.

È con­di­vi­si­bi­le il con­cet­to che per inven­ta­re qual­co­sa sia­no neces­sa­rie alme­no due per­so­ne: una che pen­sa l’idea, l’altra che la rico­no­sce come tale. Altrimenti sarem­mo tut­ti arti­sti auto­cer­ti­fi­ca­ti: scrit­to­ri sen­za edi­to­ri, regi­sti sen­za pro­dut­to­ri, etc. Non basta il pro­gram­ma Word per scri­ve­re un best sel­ler, o una tele­ca­me­ra per esse­re regi­sta: chi si fa garan­te del­la tec­ni­ca e del­la qua­li­tà di tali pro­dot­ti? Riconosciamo quin­di l’importanza del ruo­lo dei “rico­no­sci­to­ri d’idee”; ma è impor­tan­te che tali “rico­no­sci­to­ri” non cer­chi­no di lucra­re dal­la loro atti­vi­tà, ad esem­pio aumen­tan­do il tem­po di vali­di­tà del copy­right.

Copyright chainQuest’ultimo varia a secon­da del sog­get­to (medi­ci­na­li, musi­ca, soft­ware, etc.) e dovreb­be con­sen­ti­re il gua­da­gno, oltre al recu­pe­ro dei costi soste­nu­ti. Inizialmente la mor­te dell’autore di un’opera cau­sa­va l’estinzione del dirit­to d’autore; oggi inve­ce rima­ne in vigo­re dai 30 ai 70 anni dopo la sua dipar­ti­ta (pas­san­do agli ere­di)  e l’editore ne trae il 50% del gua­da­gno (men­tre per un nor­ma­le inter­me­dia­rio il rica­vo è soli­ta­men­te del 20%). Così, nel caso voles­si­mo destreg­giar­ci in un rema­ke di Harry Potter, dovrem­mo paga­re i dirit­ti alla Rowling  fino al 2116 (la saga del maghet­to ha visto la sua pri­ma pub­bli­ca­zio­ne nel 1998). Magari un son­no crio­ge­ni­co potreb­be aiu­tar­ci ad arri­va­re a quel­la data e scam­pa­re que­sto modi­co aggravio.

Implicito che ognu­no tiri l’acqua al suo muli­no: nel 1998 Walt Disney spin­se per l’adozione di nuo­ve rego­le sul copy­right, al fine di pro­teg­ge­re le sue pro­du­zio­ni cine­ma­to­gra­fi­che più data­te. Eppure lui stes­so creò il suo impe­ro sfrut­tan­do le idee di altri per i suoi lun­go­me­trag­gi (Biancaneve dei fra­tel­li Grimm, Pinocchio di Collodi, Alice nel pae­se del­le mera­vi­glie di Carrol, etc.). Lo sco­po del copy­right è quel­lo di pro­muo­ve­re il pro­gres­so di arte e scien­za, assi­cu­ran­do agli auto­ri l’esclusività del­le loro pro­du­zio­ni. Siamo sicu­ri che oggi sia così, o non tute­li inve­ce ecces­si­va­men­te il sem­pli­ce tor­na­con­to degli editori?

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