Università da rivalutare?

Andrea Lugoboni,

LettereInfrastrutture insuf­fi­cien­ti, scar­sa mobi­li­tà socia­le, un tas­so di nata­li­tà tra i più bas­si d’Europa… asso­cia­re la paro­la pro­ble­mi con il ter­mi­ne Italia è ormai un “leit­mo­tiv” che non stu­pi­sce nes­su­no. Eppure, a vol­te, si trat­ta di un pes­si­mi­smo (par­zial­men­te) ingiu­sti­fi­ca­to. Prendiamo ad esem­pio l’argomento uni­ver­si­tà: sia­mo sicu­ri che le cose vada­no così male?

A que­sto pro­po­si­to, i dati sono piut­to­sto ambi­gui e van­no inter­pre­ta­ti. Se tra le “top 100” non c’è nean­che un nome ita­lia­no, ci sono tan­ti altri nume­ri che fan­no ben spe­ra­re per il nostro siste­ma. Un rap­por­to pro­dot­to dal­la Royal Society di Londra ci dice che – tra il 1996 e il 2008 – il nostro Paese ha aumen­ta­to del 32% il nume­ro di pub­bli­ca­zio­ni. Il dato fa anco­ra più impres­sio­ne se pen­sia­mo che nes­su­no tra i Paesi del G8 ha fat­to meglio. Il docu­men­to mostra come, a livel­lo glo­ba­le, negli ulti­mi anni gl’investimenti per la ricer­ca nel mon­do sia­no net­ta­men­te aumen­ta­ti. Mentre gli arti­co­li giap­po­ne­si e sta­tu­ni­ten­si han­no per­so peso sul nume­ro tota­le, quel­li ita­lia­ni han­no man­te­nu­to il loro valo­re costan­te. La cosa è sor­pren­den­te, se si pen­sa che in Italia gl’investimenti nel­la ricer­ca sono aumen­ta­ti solo del 1,5 per cen­to. L’unica spie­ga­zio­ne è l’aumento del­la pro­dut­ti­vi­tà scientifica.

Ma le buo­ne noti­zie non sono fini­te. Le tabel­le  par­la­no dei nostri ricer­ca­to­ri come mol­to “inter­na­zio­na­liz­za­ti”: in die­ci anni il tas­so d’internazionalizzazione è aumen­ta­to di 12 pun­ti. Nel 2008 il 40% dei lavo­ri scien­ti­fi­ci ita­lia­ni ave­va un part­ner stra­nie­ro; otto anni pri­ma solo il 27 per cento .

E anco­ra: pren­dia­mo il dato dei ven­ti­due­mi­la ricer­ca­to­ri ita­lia­ni che lavo­ra­no all’estero. Questi pos­so­no esse­re visti come cer­vel­li in fuga; ma anche come la pro­va che i nostri stu­den­ti han­no una buo­na pre­pa­ra­zio­ne, che sono pre­mia­ti e rico­no­sciu­ti in mol­te isti­tu­zio­ni uni­ver­si­ta­rie straniere.

LibriSe tut­to ciò non bastas­se a con­vin­ce­re il let­to­re abi­tua­to a sen­tir par­lar male dei nostri ate­nei, con­si­glia­mo la let­tu­ra di un arti­co­lo dell’Economist, dove l’Italia appa­re set­ti­ma nel­la clas­si­fi­ca del­le cita­zio­ni (cioè nel­la per­cen­tua­le di cita­zio­ni tra gli arti­co­li scien­ti­fi­ci). «Non male», scri­ve il Fatto quo­ti­dia­no, «se pen­sia­mo che chi ci sta davan­ti inve­ste in que­sto set­to­re una por­zio­ne del pro­prio Pil supe­rio­re alla nostra».

Come ogni pro­dot­to d’eccellenza, le pub­bli­ca­zio­ni  nostra­ne uni­sco­no qua­li­tà (nume­ro di cita­zio­ni) e quan­ti­tà (tota­le). Scimago (grup­po di ricer­ca di alcu­ne uni­ver­si­tà spa­gno­le, che valu­ta entram­bi gli aspet­ti) ci asse­gna una più che digni­to­sa otta­va posi­zio­ne mon­dia­le. Avremo pure davan­ti Germania, Francia, Stati Uniti e Cina; ma si trat­ta comun­que di un buon risultato.

Tutto ciò sem­bra ave­re un signi­fi­ca­to ine­qui­vo­ca­bi­le. Non ci sono dub­bi che ai nostri ate­nei man­chi­no risor­se, che non ci sia ricam­bio del cor­po docen­ti e che intra­pren­de­re la car­rie­ra acca­de­mi­ca sia una stra­da ardua (vedi pre­ca­ria­to e poca meri­to­cra­zia). Al di là di que­sti inciam­pi però dal bel Paese pro­ven­go­no stu­den­ti apr­rez­za­ti in tut­to il mon­do. Gli ita­lia­ni non sono bra­vi solo a fare la piz­za o il vino: san­no anche fare ricer­ca e per que­sto biso­gna rin­gra­zia­re il nostro siste­ma uni­ver­si­ta­rio e quel­lo sco­la­sti­co tout court.

Anche se a casa nostra in mol­ti la dan­no per spac­cia­ta e si lamen­ta­no di lei, la nostra Università ha anco­ra car­te da gio­ca­re e soprat­tut­to ha il dirit­to di esse­re sal­va­guar­da­ta dai poli­ti­ci e dai media.

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