China-politik

Erica Petrillo,

Cina dragone«Il gover­no ita­lia­no con­si­de­ra la Cina un impor­tan­te part­ner poli­ti­co e non sol­tan­to un pro­ta­go­ni­sta dell’economia». Stupiscono le recen­ti dichia­ra­zio­ni del mini­stro degli Esteri, in visi­ta uffi­cia­le in Cina.

Lasciano basi­ti per­ché – coin­ci­den­za – ven­go­no rila­scia­te in un perio­do in cui il gover­no di Pechino si sta dimo­stran­do tut­to fuor­ché uno Stato ret­to da prin­ci­pi di demo­cra­zia e liber­tà. Quindi dif­fi­cil­men­te “un impor­tan­te part­ner politico”.

Il pri­mo caso di cro­na­ca fa rife­ri­men­to all’irrisolta “que­stio­ne tibe­ta­na”. La rea­zio­ne cine­se alla deci­sio­ne di Barack Obama di rice­ve­re il capo spi­ri­tua­le dei tibe­ta­ni, lascia infat­ti ben poco spa­zio all’immaginazione: «Ci oppo­nia­mo fer­ma­men­te a qual­sia­si incon­tro di alti espo­nen­ti gover­na­ti­vi stra­nie­ri con il Dalai Lama, in qual­sia­si veste».

Come se non bastas­se, è pro­prio di ieri la noti­zia che 20 per­so­ne del­la mino­ran­za etni­ca degli Uiguri sono rima­ste ucci­se in vio­len­ti scon­tri con la poli­zia cine­se a Hotan (nel­lo Xinjiang, regio­ne nord-occi­den­ta­le del­la Cina).

Nella com­pli­ca­ta matas­sa del­le rela­zio­ni inter­na­zio­na­li, il ruo­lo di lea­der eco­no­mi­co del­la super­po­ten­za cine­se impo­ne sen­za dub­bio “un occhio di riguar­do”: sareb­be impen­sa­bi­le non­chè peri­co­lo­so per la nostra eco­no­mia reci­de­re ogni lega­me com­mer­cia­le e finanziario.

Se espor­si net­ta­men­te con­tro la poli­ti­ca cine­se richie­de una buo­na dose di coe­ren­za e corag­gio, quan­to­me­no si potreb­be però evi­ta­re di tes­ser­ne le lodi.

Stretta di manoQualche mese fa, a pochi gior­ni dall’inizio del­la mis­sio­ne libi­ca, Angelo Panebianco decan­ta­va le pro­dez­ze del­la Realpolitik, dan­do con­te­stual­men­te degli “inge­nui” a tut­ti colo­ro che, «nel­le fasi di effer­ve­scen­za rivo­lu­zio­na­ria, cri­ti­ca­no le com­mi­stio­ni e le com­pli­ci­tà con i tiran­ni». Il rife­ri­men­to ovvio era alle nume­ro­se voci che da più par­ti si era­no alza­te per denun­cia­re la poli­ti­ca quan­to­me­no incoe­ren­te dell’Italia: in pas­sa­to sem­pre pron­ta a strin­ge­re l’occhiolino a Gheddafi; ora in pri­ma linea nel con­flit­to con­tro di lui.

La tesi di Panebianco è la seguen­te: «Non pos­sia­mo auto­fla­gel­lar­ci per ave­re traf­fi­ca­to per decen­ni con i dit­ta­to­ri. Lo impo­ne­va­no gli inte­res­si del­le demo­cra­zie occi­den­ta­li: nes­sun gover­nan­te demo­cra­ti­co può con­ser­va­re il pote­re se non tute­la l’interesse del pro­prio Paese così come esso vie­ne defi­ni­to dai grup­pi inter­ni, poli­ti­ci, socia­li ed eco­no­mi­ci, che con­ta­no. E l’interesse richie­de­va di col­ti­va­re quel­le relazioni».

Seppur opi­na­bi­le, que­sto discor­so ha una sua logica.

Nello sfor­zo di veni­re a capo di una com­pli­ca­ta que­stio­ne mora­le – “è giu­sto com­bat­te­re un dit­ta­to­re con il qua­le si sono tenu­te in pas­sa­to stret­te rela­zio­ni diplo­ma­ti­che?” – for­se si dovreb­be fare teso­ro del­la lezio­ne libi­ca, pri­ma di defi­ni­re il regi­me cine­se «un impor­tan­te part­ner politico».

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