A più di due mesi dall’inizio degli scontri, la situazione nel Maghreb è ancora tutt’altro che tranquilla. Ne abbiamo parlato con Sherif El Sebaie, docente di Civiltà dell’Islam al Politecnico di Torino e opinionista radiofonico di origini greco-egiziane.
Perché le rivolte arabe sono avvenute proprio in questo momento storico?
Il contesto in cui ci troviamo dipende da un insieme di fattori. Per prima cosa la crisi finanziaria globale che ha colpito anche le economie dei Paesi del Vicino Oriente. Inoltre in Egitto erano in atto da alcuni anni processi di privatizzazione dell’economia che hanno creato un ampio divario tra ricchi e poveri. A questo bisogna aggiungere la recente crisi alimentare, che ha visto un’impennata dei prezzi del grano. La sinergia di questi eventi ha scatenato rivolte in più parti del mondo arabo: anche se sono meno seguite dai mass media, ci sono proteste anche nello Yemen e in Giordania.
Le democrazie occidentali hanno sempre avuto rapporti diplomatici e commerciali con l’Egitto; ora invece Mubarak è considerato un dittatore.
L’Egitto si trova in una posizione geostrategica di primaria importanza per due motivi: confina con lo Stato d’Israele – svolgendo un ruolo fondamentale nel conflitto arabo-israeliano – e sul suo territorio si trova il Canale di Suez, sul quale transitano gran parte dei traffici marittimi della regione. Sorprende che quando i regimi “tornano utili” i loro leader vengano considerati saggi, altruisti e magari addirittura democratici; quando invece il vento gira diventano all’improvviso delle dittature. Di certo c’è una gran confusione anche nell’amministrazione americana, che infatti ha oscillato per un certo periodo tra la posizione di chi voleva le immediate dimissione di Mubarak e chi invece lo considerava il più adatto a gestire il progetto di transizione democratica.
Qual è un possibile scenario futuro per l’Egitto?
Nessuno si aspettava queste rivolte, dunque è molto difficile ipotizzare scenari futuri. Senza dubbio il ventaglio d’ipotesi si è molto allargato. In Egitto ci sono opposizioni di vario genere: quella più antica e organizzata è quella dei Fratelli musulmani; c’è poi un’opposizione laica e di sinistra, che ha una storia più recente e sta muovendo i primi passi proprio in queste settimane. All’interno di questi movimenti convivono diverse correnti e modi di pensare al futuro. I risultati delle trattative tra governo e opposizioni rimangono pertanto un’incognita.
Quali sono le caratteristiche e la storia dei Fratelli musulmani?
Il movimento è uno dei più radicati nella società egiziana. Negli ultimi anni è stato molto attivo, promuovendo opere sociali – come ambulatori e ospedali – che hanno consentito alle classi meno abbienti di curarsi gratuitamente. Si spiega così il forte seguito che riscuote tra la popolazione. Al suo interno ci sono due ali: una pragmatica e una conservatrice. È dal dialogo e dallo scontro tra queste fazioni che si decideranno le sorti dell’Egitto.
L’alto tasso di disoccupazione giovanile e la frustrazione che deriva dal non trovare un lavoro adeguato al proprio titolo di studio, sono fenomeni comuni anche all’Italia. Come mai nel Belapese non si è ancora arrivati a un punto forte di rottura?
È vero: ci sono molti problemi simili. Quello che cambia però è il livello di benessere. In Italia anche l’operaio più umile vive giorno per giorno con dignità: ha una casa, le ferie retribuite, un’automobile… Il livello minimo di benessere garantito a tutti ha evitato che il malcontento sfociasse in una crisi come quella egiziana.
Lei ha molti parenti e amici in Egitto…
Ho tantissimi familiari in Egitto. In questo momento la mia preoccupazione per loro e per il Paese è fortissima. L’intero popolo egiziano è nel mio cuore. L’Egitto è nel mio cuore.