Nel 2008 Paolo Virzì presentò “Tutta la vita davanti“: un film per raccontare una generazione che deve spesso scendere a compromessi per “portare a casa la pagnotta”.
Il film aveva una locandina particolare: gli interpreti erano disposti come i personaggi de “Il Quarto Stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo (il noto dipinto dove un gruppo di lavoratori in sciopero procede avanzando verso la luce).
Negli anni in cui il quadro venne dipinto, le organizzazioni sindacali erano fondamentali per l’affermazione dei diritti dei lavoratori. Oggi invece, per alcune categorie sociali, i sindacati sembrano spariti. Precari, stagisti e disoccupati devono prendersela con le organizzazioni sindacali o con la politica? O, peggio ancora, devono accusare loro stessi?
La scarsa attenzione delle istituzioni non è sfuggita a Eleonora Voltolina, direttrice della testata online “La Repubblica degli stagisti“, punto di riferimento per chi cerca consigli su come non farsi sfruttare. Intervistata da Sintesi, Voltolina ci spiega: «abbiamo promosso una serie di iniziative come Bollino OK Stage, La Carta dei diritti dello stagista e Chiarostage. Aderendo a questi progetti le aziende s’impegnano a rendere trasparenti le condizioni d’impiego degli stagisti e a portare avanti comportamenti più virtuosi di quelli imposti dalla normativa. Si realizza in questo modo ciò che si suole chiamare responsabilità sociale d’impresa».
Un’attività importante; ma che da sola non può prendere il posto di altre istituzioni, come i centri per l’impiego o i sindacati veri e propri. Rimane la domanda: perché tanta disattenzione da parte di questi ultimi? Pietro Ichino (parlamentare e studioso di Diritto del lavoro) ci spiega: «le organizzazioni sindacali si occupano soprattutto degli insider, ovvero dei lavoratori stabili delle grandi aziende. A oggi mancano delle vere strutture che rappresentino quella grande fetta della forza lavoro che si colloca al di fuori dell’impiego regolare, stabile e tutelato. Questa è l’origine della spaccatura tra “protetti e non protetti” che caratterizza l’attuale mercato del lavoro italiano. Tuttavia gli outsider sono – direi quasi per definizione – difficili da raggiungere».
Sabria Sharif (responsabile del coordinamento giovani della Cisl) propone un’ulteriore riflessione: «i contratti di lavoro atipico rappresentano il 40% dei totali stipulati. Eppure su oltre 4 milioni di iscritti alla Cisl, solo 2 milioni e 300mila sono attivi – cioè non pensionati – e di questi poco più di 100mila hanno meno di 30 anni. Con questi numeri i giovani anche se si appassionano non riescono ad avere abbastanza peso per porre i loro problemi al vertice dell’agenda. La loro scarsa presenza è dovuta soprattutto a due cause: il fatto che si comincia a lavorare molto tardi per via degli studi e che ci si affaccia sul mercato del mondo con rapporti di lavoro di breve durata».
Non sarebbe del tutto sbagliato prenderci dunque parte della responsabilità per la “scomparsa” dei sindacati. Malati d’individualismo e inclini a rassegnarci, non dovremmo invece sottovalutare il valore dell’aggregazione, indispensabile per dare forza alle singole voci.
Rossella Ciarfaglia