14 dicembre 2010: in un clima surreale il governo chiede e ottiene la fiducia al Senato e alla Camera dei deputati.
Vorrei prendere spunto da questo avvenimento per concentrarmi sullo stato di salute della politica italiana, così come diagnosticato dalle tribolazioni del governo Berlusconi.
Ne riassumo brevemente i tratti salienti. Il primo è la totale divergenza tra le dichiarazioni ufficiali e le trattative reali. Se gli esponenti dei due (mi correggo: tre) schieramenti hanno insistito lungamente sulle proprie posizioni, in realtà la mediazione non è mai terminata. Si è cercata prima una soluzione possibilmente indolore per tutti: tentativo fallito. Si cerca ora un’opzione che consenta la sopravvivenza – il galleggiamento – del governo e delle opposizioni. A pagare le conseguenze sono in tanti: in particolare la percezione del “fare politica” in Italia.
Un secondo tratto saliente è quello della “libera dialettica parlamentare”, per dirla alla Cicchitto. O, se si preferisce, del mercimonio di poltrone. Sono tanti i casi di parlamentari che cambiano schieramento o ne costituiscono nuovi, che cercano di ammorbidire le linee del proprio gruppo (le “colombe”) o, al contrario, di esacerbarle (i “falchi”). L’impressione dell’elettore medio è che la classe politica italiana frapponga al vincolo di mandato l’interesse personale. Oppure che, nel migliore dei casi, “traccheggi” nella speranza di salvare lo status quo, animato da motivazioni che restano oscure. La libera dialettica parlamentare assume allora i toni del mercato rionale, in cui si contratta per il prezzo di una mela o di un ortaggio.
Il terzo tratto saliente è quello più interessante, almeno da un punto di vista puramente scientifico. Mi riferisco alle diverse interpretazioni che sono state date del diritto costituzionale, delle conseguenze economiche della crisi e dell’opportunità di nuove elezioni. Nel primo caso gli interpreti dei diversi schieramenti hanno invocato il coinvolgimento o l’astensionismo del Quirinale, l’opportunità o l’assurdità di sciogliere un solo ramo del Parlamento (indicendo elezioni parziali), e ancora l’espulsione di membri del Parlamento dalle commissioni. Lo stesso vale per le interpretazioni economiche dei risvolti della crisi di governo: “tutte e nessuna”, a giudicare dalle opinioni espresse da autorevoli rappresentanti dei tre schieramenti. Viene da sé che anche l’opportunità d’indire nuove elezioni è stata utilizzata come un grimaldello per spaventare, ammonire o schernire gli avversari.
Infine, l’impressione di chi scrive è che i mezzi di informazione (salvi rari casi) abbiano contribuito a distorcere ulteriormente le informazioni, unendo alla narrazione dei fatti la libera interpretazioni dei cronisti. Dolo o colpa? Non è dato sapere.
Presi singolarmente nessuno dei temi precedenti costituisce una novità. Al contrario, sono tutti vizi radicati nel nostro Paese e nella classe politica che esprime. Considerati assieme, e vissuti nel contesto drammatico di una crisi di governo, offrono un quadro desolante. Ne escono sconfitti i rappresentanti della classe politica, che perdono credito di fronte ai cittadini; ne esce sconfitta la libera informazione, sia a destra che a sinistra; ne escono sconfitti i cittadini, che perdono interesse per la politica.
La prognosi resta riservata.