Sarkò Dehors: lo slogan è semplice, facile da ricordare; riecheggia nell’aria, a volte come un brusio leggero, a volte come un potente tuono. Da un mese a questa parte la colonna sonora della Francia non proviene dal Mulin Rouge o dal teatro dell’Opera; viene dalle strade, dalle manifestazioni, dalla gente.
Da Place de la Rèpublique a Parigi, il 6 novembre scorso, è partita l’ottava mobilitazione nell’ultimo mese contro la legge Sarkozy-Fillon, sulla riforma del sistema pensionistico.
Si sono registrati oltre 90mila partecipanti solo nella capitale e altre centinaia di migliaia nelle 241 manifestazioni sparse in tutto il Paese. Con la legge discussa (già approvata definitivamente da Assemblea e Senato, ma non ancora promulgata dal Capo dello Stato, ovvero lo stesso Sarkozy) si innalza l’età di pensionamento da 60 a 62 anni, con conseguente obbligo di versare contributi per 41 anni e mezzo. Per chi è stato disoccupato, lavoratore precario o lavoratore atipico, l’età pensionabile sarà innalzata da 65 a 67 anni.
Nell’ottica dell’esecutivo, il fine della riforma è duplice: da una lato diminuire la spesa pubblica; dall’altro fare cassa con i maggiori contribuiti versati e con le minori pensioni erogate, sulla base dell’aumento dell’aspettativa di vita. I lavoratori al contrario non vogliono un sistema che li sfrutti e un governo che – per risanare la situazione economica del Paese – metta le mani in tasca a chi, quel poco che ha, se l’è conquistato con sessant’anni di lotte sociali. La situazione è complessa, chi scrive ha le sue idee e le sue convinzioni in materia, ma preferisce che ognuno formi autonomamente un suo pensiero.
Quella che va sottolineata in questa sede è un’altra situazione. Nei telegiornali, nelle scuole, nei bar, nelle strade, negli uffici, nei salotti, nei palazzi di potere, nei cafè, nei giornali, nelle banlieue, nelle chiese, negli stadi, nei ristoranti, nei mercati non si parla d’altro: la greve, lo sciopero. La gente è coinvolta, si sente parte di quello che accade, vuole decidere in prima persona, crede fermamente nella democrazia diretta. Ecoutez la colere du peuple – ascoltate la rabbia della gente – è lo striscione simbolo della protesta. La gente non si ferma al primo ostacolo, al primo “no”, al primo rifiuto della classe politica; parla, discute, lotta per quello che vuole.
Certo scioperare per otto giorni in un mese non è una scelta facile. La gente deve pur mangiare e i giorni di sciopero non sono retribuiti, tanto che dai tre milioni di partecipanti della prima manifestazione siamo passati alla metà.
In una situazione analoga, cosa sarebbe successo in Italia? Ci sarebbero state otto manifestazioni in un mese? Cosa ne avrebbe pensato l’opinione pubblica? E soprattutto: come si sarebbe comportata la classe politica? Il Presidente francese Sarkozy, nel momento più caldo di questo autunno bollente, ha dichiarato: «Le inquietudini della gente devono essere espresse, le capisco». Un’affermazione ben diversa da quelle a cui siamo abituati in Italia, dove la regola è che la maggioranza al governo spari a zero sui dissidenti, urlando magari al complotto. Anche l’atteggiamento dei media francesi è differente: spazio alle manifestazioni, raccolta di testimonianze, voce ai rappresentanti dei sindacati e soprattutto alla gente comune; non prime pagine dedicate a omicidi, scandali sessuali o partite di calcio.
Non solo Liberation, ma anche l’autorevole LeMonde o il filo-governativo LeFigarò danno voce a chi chiede di essere ascoltato, su qualsiasi tema. Si leggono notizie vere, per coinvolgere la gente, renderla consapevole e non tenerla chiusa in una campana di vetro, distogliendola da quelli che sono i veri problemi della collettività.