Nelle terre australiane dove mi trovo mi giunge una nuova: il liceo scientifico Volta di Milano (la mia ex scuola) è stato occupato. Quest’anno non sono più parte della realtà studentesca e forse posso provare ad analizzare la situazione con più distacco. La domanda è sempre la stessa: ha senso occupare una scuola all’alba del 2011?
Questa forma di protesta nasce alla fine degli anni ’60 in un contesto sociale molto diverso da quello attuale. Occupare significava andare contro la legge e rinunciare temporaneamente alla propria istruzione – in un periodo in cui l’educazione universitaria non era ancora un diritto esteso a tutti – per ottenere qualcosa di meglio: maggiore accesso all’istruzione, più fondi, etc… Era una protesta culturale: un conflitto tra una generazione vecchia e bigotta che nascondeva i propri vizi tra le mura domestiche e adolescenti spaesati alla ricerca di nuovi ideali.
Ora dove siamo? La rivoluzione del 1968 ha garantito dei passi avanti nell’ambito della libertà personale e di opinione, oltre a qualche maggiore diritto sul lavoro. Ha fallito tuttavia il suo traguardo più alto, cioè la creazione di un nuovo sistema economico-sociale. I propositi di uguaglianza e di rinascita che sognavano i sessantottini sono spesso andati – anche letteralmente – in fumo. Al punto che la protesta attuale si riduce spesso a qualche spinello e manifestazione in piazza; mentre le scelte politiche sono ancora gestite da forti gruppi d’interesse.
Che senso ha quindi occupare nel 2010? Se un tempo un gesto del genere aveva una coerenza e un senso logico, oggi perde completamente le sue funzioni. Punto primo: obiettivo di una protesta è causare disagio, per concentrare l’attenzione pubblica su un tema e cercare di ottenere un cambiamento. Causare disagio a chi? A colui contro il quale si sta protestando, in questo caso il ministero dell’Istruzione. Il governo tuttavia – che sta tagliando fondi alla scuola e portando avanti una politica che mina le fondamenta stesse della cultura – non sarà minimamente leso dall’interruzione dell’attività didattica in qualche scuola. Un tempo sarebbe anche potuto esserlo; non oggi.
Secondo: è parecchio ipocrita protestare per il diritto allo studio rinunciando ad esso e impedendo a chi vuole usufruirne di farlo liberamente. L’occupazione è illegale e impedire a una parte della scuola di studiare non è coerente da parte di chi si professa portatore di idee democratiche. Infine il fatto che la scuola sia sempre mezza vuota e si fermino meno di un centinaio di persone a dormire nell’edificio “occupato”, che non vi siano assemblee o alcun tipo di attività rende davvero dubbia la credibilità degli organizzatori, che infatti desistono dalla protesta dopo pochi giorni lasciando sulle labbra di tutti la domanda “ma volevano saltare solo qualche giorno di scuola o cosa?”.
Protestare è giusto, sono il primo a considerare indecente l’operato di questo governo in materia d’istruzione (anche se certamente non in controtendenza rispetto agli anni passati). Nel 2010 però esistono metodi diversi per portare avanti le proprie lotte e la storia stessa ce ne ha insegnati di migliori. Non ha senso emulare le stesse proteste da 40 anni. Lo sottolineo, 40 anni. L’unico motivo per cui l’occupazione può essere considerata efficace è che i giornali, cavalcando il mito sessantottino, diffondono subito articoli per il loro pubblico di vecchi romantici. Ma se è questa l’unica ambizione, in una società dove tutto è spettacolarizzato, basterebbe un qualsiasi gesto eclatante per attirare l’attenzione dei media. Perché non immaginare scioperi della fame collettivi, oppure sit-in in Stazione Centrale a Milano? Ve li immaginati tutti gli studenti milanesi a fare i compiti tra i binari per una settimana, rallentando treni e persone? Oppure migliaia di mail che intasano i server del ministero…
Se l’intento è davvero quello di protestare e ottenere qualcosa, ce la si può fare, anche in tempi difficili come questi. Siamo giovani! Se non vengono a noi le idee, a chi dovrebbero venire? Impariamo a credere in noi stessi, invece di scopiazzare in malo modo da una società che non ha saputo raggiungere i suoi ideali. L’impressione generale è che la gente non sia più capace di incazzarsi davvero e che le basti “fare qualcosa”. Qualsiasi cosa, anche inutile e portata avanti senza pensarci. Pur di dire “io non sono stato con le mani in mano”. È meglio non fare nulla o fare qualcosa di inutile? Forse è meglio fare qualcosa di utile… voi che dite?