In questi mesi estivi il Belpaese assiste disorientato a uno stillicidio di provvedimenti discriminatori verso l’omosessualità.
Partiamo dal caso padovano: l’amministrazione veneta, nel varare un piano per la distribuzione di alloggi ai giovani, rende noto che la graduatoria per l’assegnazione degli appartamenti escluderà le coppie composte da persone dello stesso sesso. «Abbiamo voluto evitare – dice l’assessore Giovanni Battista – che si creino situazioni di comodo: due estranei o quasi potrebbero dividersi un alloggio a prezzo politico». Ci si chiede cosa induca a credere che tali “situazioni di comodo” si presentino più di frequente tra persone dello stesso sesso.
Ben più grave è ciò che accade a Milano: l’ospedale Gaetano Pini dichiara di non voler accettare la donazione di sangue da un donatore gay, proprio a causa delle sue tendenze sessuali. Sul sito internet dell’Avis (l’Associazione volontari italiani sangue) si legge che sono esclusi dalle donazioni coloro che hanno avuto «rapporti sessuali ad alto rischio di trasmissione di malattie infettive (occasionali, promiscui)». Peccato che l’uomo in questione – donatore da otto anni – dichiari di non aver mai fatto uso di droghe, di non essere sieropositivo e di non avere comportamenti a rischio per le malattie a trasmissione sessuale. Qual è allora il vero discrimine? Forse il pregiudizio?
Dal Veneto alla Lombardia, la situazione sembra decisamente poco rosea, soprattutto se paragonata col resto del mondo occidentale. Un’inchiesta di Repubblica mette infatti in luce l’anomalia del caso nostrano: l’Italia, assieme alla Grecia, rappresenta «l’unica nazione a non riconoscere diritti alle coppie dello stesso sesso e rappresenta un’eccezione in Europa e tra i Paesi avanzati» osserva il presidente di Arcigay Paolo Patanè.
Qualche giorno fa il sindaco di Reykjavik si è presentato al gay pride islandese vestito da drag queen: 43enne padre di cinque figli, è intervenuto alla manifestazione per l’orgoglio omosessuale dicendo che il sindaco era stato trattenuto per impegni di lavoro e che lei, la drag, lo avrebbe sostituito. E l’Islanda ha saputo ridere di questa battuta.
Un episodio analogo in Italia sarebbe impensabile. Le trasformazioni culturali profonde necessitano sempre di tempi lunghi per radicarsi: le istituzioni dovrebbero però intervenire da catalizzatori sociali, prodigandosi per accorciare queste tempistiche e favorire l’allineamento dell’Italia con gli altri Stati occidentali. A giudicare da quanto è accaduto negli ultimi giorni, sembra invece che l’Italia sia destinata a percorre dei binari a velocità ridotta.