«L’Italia si trova nel Medio Occidente». Così scriverebbe un quotidiano di Dubai che applicasse alla rovescia il termine “Medio Oriente”: parola utilizzata per indicare tanto la provenienza del macellaio sotto casa, quanto la cultura del bombarolo di Al Qaeda.
Se dinanzi al “Medio Occidente” i più storcerebbero il naso, la confusione generata dall’accozzaglia che si ripara sotto il termine “Medio Oriente” sembra stupirci molto meno. Eppure è proprio in questo terreno di vaghezza e imprecisione che germoglia il seme del luogo comune, dello stereotipo, dell’incomprensione: «Le donne mediorientali sono schiave dell’Islam, una religione sessista, antidemocratica e antimoderna, spesso razzista e terrorista». Ne siamo così sicuri?
Negli Emirati Arabi Uniti recentemente Hissa Hilal – una casalinga saudita di 43 anni, madre di quattro figlie – si è aggiudicata il terzo posto nel reality “Million’s Poet” in onda su Abu Dhabi TV. La straordinarietà del risultato? Hissa è una donna, coperta da testa a piedi con un lungo niqab nero e il suo è un canto di ribellione: versi graffianti che colpiscono il cuore religioso del mondo arabo, descrivendo la fatwa come «un mostro crudele nel pensiero e nelle azioni, rabbioso e cieco, che indossa una veste e una cintura di morte». Il coraggio di Hissa, che le è valso minacce e pesanti critiche sul web, è uno sprazzo di speranza per molte persone: «La mia poesia è sempre stata provocatoria. È un modo per esprimere me stessa e per dare voce alle donne arabe: chi ha dirottato la nostra cultura e la nostra fede vuole invece metterci a tacere».
Nello stesso periodo si sta verificando vicenda al confine tra la piccola rivoluzione e il “fashion Islam”: è in corso una trattativa tra Fifa e Federcalcio iraniana riguardo all’abbigliamento della squadra di calcio femminile della Repubblica Islamica. Le giovani giocatrici non avranno il velo, ma solo la cuffia, così potranno partecipare (dopo un iniziale rifiuto) ai primi giochi olimpici giovanili in programma per il prossimo agosto a Singapore.
Si tratta di eventi dal valore principalmente simbolico. Eppure sono convinta che la storia si costruisca anche su questi piccoli gesti: cima dell’iceberg di un cambiamento che cova nel profondo. Una lezione da non dimenticare anche per noi “medio occidentali”.