Veli e libertà

Erica Petrillo,

Islam«L’Italia si tro­va nel Medio Occidente». Così scri­ve­reb­be un quo­ti­dia­no di Dubai che appli­cas­se alla rove­scia il ter­mi­ne “Medio Oriente”: paro­la uti­liz­za­ta per indi­ca­re tan­to la pro­ve­nien­za del macel­la­io sot­to casa, quan­to la cul­tu­ra del bom­ba­ro­lo di Al Qaeda.

Se dinan­zi al “Medio Occidente” i più stor­ce­reb­be­ro il naso, la con­fu­sio­ne gene­ra­ta dall’accozzaglia che si ripa­ra sot­to il ter­mi­ne “Medio Oriente” sem­bra stu­pir­ci mol­to meno. Eppure è pro­prio in que­sto ter­re­no di vaghez­za e impre­ci­sio­ne che ger­mo­glia il seme del luo­go comu­ne, del­lo ste­reo­ti­po, dell’incomprensione: «Le don­ne medio­rien­ta­li sono schia­ve dell’Islam, una reli­gio­ne ses­si­sta, anti­de­mo­cra­ti­ca e anti­mo­der­na, spes­so raz­zi­sta e ter­ro­ri­sta». Ne sia­mo così sicuri?

Negli Emirati Arabi Uniti recen­te­men­te Hissa Hilal – una casa­lin­ga sau­di­ta di 43 anni, madre di quat­tro figlie – si è aggiu­di­ca­ta il ter­zo posto nel rea­li­ty “Million’s Poet” in onda su Abu Dhabi TV. La straor­di­na­rie­tà del risul­ta­to? Hissa è una don­na, coper­ta da testa a pie­di con un lun­go niqab nero e il suo è un can­to di ribel­lio­ne: ver­si graf­fian­ti che col­pi­sco­no il cuo­re reli­gio­so del mon­do ara­bo, descri­ven­do la fat­wa come «un mostro cru­de­le nel pen­sie­ro e nel­le azio­ni, rab­bio­so e cie­co, che indos­sa una veste e una cin­tu­ra di mor­te». Il corag­gio di Hissa, che le è val­so minac­ce e pesan­ti cri­ti­che sul web, è uno spraz­zo di spe­ran­za per mol­te per­so­ne: «La mia poe­sia è sem­pre sta­ta pro­vo­ca­to­ria. È un modo per espri­me­re me stes­sa e per dare voce alle don­ne ara­be: chi ha dirot­ta­to la nostra cul­tu­ra e la nostra fede vuo­le inve­ce met­ter­ci a tacere».

Nello stes­so perio­do si sta veri­fi­can­do vicen­da al con­fi­ne tra la pic­co­la rivo­lu­zio­ne e il “fashion Islam”: è in cor­so una trat­ta­ti­va tra Fifa e Federcalcio ira­nia­na riguar­do all’abbigliamento del­la squa­dra di cal­cio fem­mi­ni­le del­la Repubblica Islamica. Le gio­va­ni gio­ca­tri­ci non avran­no il velo, ma solo la cuf­fia, così potran­no par­te­ci­pa­re (dopo un ini­zia­le rifiu­to) ai pri­mi gio­chi olim­pi­ci gio­va­ni­li in pro­gram­ma per il pros­si­mo ago­sto a Singapore.

Si trat­ta di even­ti dal valo­re prin­ci­pal­men­te sim­bo­li­co. Eppure sono con­vin­ta che la sto­ria si costrui­sca anche su que­sti pic­co­li gesti: cima dell’iceberg di un cam­bia­men­to che cova nel pro­fon­do. Una lezio­ne da non dimen­ti­ca­re anche per noi “medio occidentali”.

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