Non c’è Bruno Vespa. Non c’è Mario Calabresi. Non c’è Sergio Zavoli. Non c’è Curzio Maltese, Ezio Mauro, non c’è nessun giornalista del Corriere della Sera, non c’è nessuno dei «cialtroni e miserabili del Pd che dicono che Santoro si è venduto a Berlusconi». Nei diciotto minuti di monologo del 20 maggio di Michele Santoro ad Annozero, nessuna di queste persone, tutte citate dal giornalista, era presente nello studio. Nessuno ha potuto difendersi o controbattere alle accuse che sono state mosse.
È un peccato, soprattutto se si considerano le puntate dedicate da Annozero all’importanza del contraddittorio. Come ha detto Marco Travaglio, riferendosi a Porta a Porta: «Quello che manca è il contraddittorio. Se uno mente non lo interrompe nessuno, così a casa non si riesce a capire quando è stata detta una cosa condivisibile o meno». Sembra però che la lezione sia stata dimenticata in fretta, riducendo la televisione pubblica a un uso privato. Non è necessario entrare nel merito dei contenuti espressi, peraltro condivisibili, ma è discutibile il luogo e il modo in cui sono stati espressi.
Perché Santoro auto-definisce Annozero un programma «di superiorità morale» rispetto al resto della programmazione Rai «meno nobile»? Indro Montanelli non si è mai qualificato come uno dei migliori giornalisti in Italia; sono stati gli italiani ad averlo considerato tale. Come ha sottolineato Fabio Chiusi nel suo blog Il Nichilista: «È l’umiltà a fare grandi gli uomini». Si può dire che sia stato Bruno Vespa il primo a parlare male di Santoro in sua assenza. Vero. Ma proprio per la superiorità morale che il giornalista campano rivendica, avrebbe potuto fare meglio rispetto ai suoi colleghi.
In Italia, un Paese nel quale pochi rispettano le regole, è fondamentale non prendere esempio da chi si comporta peggio, ma mantenere un’etica rispettosa di giusti princìpi. Proviamo a utilizzare il nostro senso critico nei confronti di tutti, soprattutto delle persone che stimiamo.