Una sfida possibile

Erica Petrillo,

Stop emissionsNegli ulti­mi 20 anni i ver­ti­ci inter­na­zio­na­li incen­tra­ti sul “cli­ma­te chan­ge” (cam­bia­men­to cli­ma­ti­co) sono sta­ti più di 15: tra cui Rio de Janeiro, Kyoto, Bonn e, da ulti­mo, Copenhagen. A fron­te di que­sta mas­sic­cia mobi­li­ta­zio­ne è legit­ti­mo chie­der­si se que­ste con­fe­ren­ze, a par­te foto di poli­ti­ci in giac­ca scu­ra e valan­ghe di reto­ri­ca “pla­net saving”, pro­du­ca­no qual­che risul­ta­to con­cre­to. Le opi­nio­ni in meri­to sono le più varie. Gli eco­lo­gi­sti più radi­ca­li pun­ta­no il dito con­tro una poli­ti­ca mio­pe e inca­pa­ce di pren­de­re prov­ve­di­men­ti sul lun­go perio­do. Altri inve­ce, tra cui il diret­to­re per la soste­ni­bi­li­tà ambien­ta­le del Vermont Andrew Jones, guar­da­no con entu­sia­smo al ver­ti­ce di Copenaghen, sot­to­li­nean­do l’importanza del cam­bia­men­to di rot­ta nel­la poli­ti­ca ambien­ta­le degli Usa. In entram­bi i casi l’impressione è che la stra­da per ridur­re le emis­sio­ni di CO2 sia mol­to ripida.

Al con­tra­rio, l’ultima inchie­sta dell’Economist sul tema ambien­ta­le va nel­la dire­zio­ne oppo­sta: l’autorevole gior­na­le ingle­se affer­ma infat­ti che «Il pro­ble­ma non è la man­can­za di tec­no­lo­gie a bas­sa emis­sio­ne di CO2… La que­stio­ne non è nem­me­no eco­no­mi­ca. Investire l’1% del Pil mon­dia­le in un pro­get­to ben strut­tu­ra­to è pos­si­bi­le. Salvare le ban­che è costa­to il 5% del Pil mon­dia­le» (solo qual­che mese fa, con prov­ve­di­men­ti adot­ta­ti nel giro di qual­che set­ti­ma­na – ndr).

Vincere la sfi­da è più sem­pli­ce e meno costo­so di quan­to gene­ral­men­te si pen­si, allo­ra per­chè non si inter­vie­ne subi­to? Eureka, il men­si­le del Times dedi­ca­to alle scien­ze, par­la di un bana­le pro­ble­ma di urgen­za: «la mag­gior par­te del­le per­so­ne tro­va dif­fi­ci­le cre­de­re che il riscal­da­men­to del glo­bo avrà un impat­to diret­to sul­la loro vita. Una recen­te ana­li­si del Pew Research Centre di Washington, met­te in luce che il 75-80% degli inter­vi­sta­ti con­si­de­ra il cam­bia­men­to clia­ma­ti­co un argo­men­to impor­tan­te. Ma, in una lista di prio­ri­tà, lo met­te all’ultimo posto».

Undici degli ulti­mi tre­di­ci anni sono sta­ti glo­bal­men­te tra i più cal­di mai regi­stra­ti, con con­se­guen­ze disa­stro­se in ter­mi­ni di per­di­ta di bio­di­ver­si­tà, approv­vi­gio­na­men­to di cibo e acqua, soprat­tut­to nei Paesi del ter­zo mon­do. È respon­sa­bi­li­tà degli Stati eco­no­mi­ca­men­te più svi­lup­pa­ti far­si cari­co di que­sto far­del­lo e non riman­da­re un pre­ci­so impe­gno comu­ne. Quella che oggi a mol­ti non sem­bra esse­re una prio­ri­tà, tra qual­che anno potreb­be rive­lar­si un dan­no irreversibile.

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