Togliere il disturbo?

Andrea Lugoboni,

Togliere il distur­bo. Se a scuo­la non stu­dia più nes­su­no, se l’amore per la cul­tu­ra si è vola­ti­liz­za­to, cosa ci stan­no a fare gli inse­gnan­ti in aula? Non è meglio che lasci­no gli stu­den­ti al loro mon­do fata­to di Facebook, sms, feste, vesti­ti all’ultima moda? Lo sfo­go di Paola Mastrocola è tut­to nel tito­lo del suo libro: Togliamo il distur­bo. La scrittrice/insegnante di Torino alza ban­die­ra bian­ca. E come non dar­le tor­to? Sembra che le sue clas­si sia­no bran­chi di stu­den­ti amor­fi, nul­la­fa­cen­ti e lon­ta­ni anni luce da Tasso, Dante, Montale. Come non dar­le ragio­ne poi, sul­la pre­pa­ra­zio­ne mise­re­vo­le degli alun­ni licea­li italiani?

Ma il j’accuse del­la Mastrocola va oltre: si spin­ge a dire che il cuo­re dei ragaz­zi è oggi chiu­so all’esperienza del­la let­tu­ra e del­la gran­de poe­sia. La vita dei ragaz­zi devia dra­sti­ca­men­te dal rac­co­gli­men­to neces­sa­rio a un sen­ti­re pro­fon­do. In altre paro­le, lo sti­le di vita degli ado­le­scen­ti di oggi ren­de dif­fi­ci­le lo stu­dio, l’approfondimento e la cono­scen­za del­la lin­gua, del­la gram­ma­ti­ca, del­la sin­tas­si, del les­si­co. Le orec­chie, ma soprat­tut­to (e mol­to più spes­so) i sen­ti­men­ti, riman­go­no ser­ra­ti di fron­te all’arte, alla poe­sia e a tut­to il teso­ro di uma­ni­tà in essa racchiuso.

In que­sto qua­dro scon­so­la­to, spun­ta una doman­da: è solo que­stio­ne di (man­can­za di) stu­dio o di una mio­pia ingua­ri­bi­le di que­sta gene­ra­zio­ne ver­so la bel­lez­za? La Mastrocola rispon­de che sen­za il pri­mo non è pos­si­bi­le con­tem­pla­re la secon­da. Senza fati­ca­re sui libri per ore e medi­ta­re sul­le paro­le non è pos­si­bi­le capi­re meta­fo­re e imma­gi­ni poetiche.

Pila quaderniLa pre­sen­te gene­ra­zio­ne è quin­di vota­ta all’ignoranza let­te­ra­ria? Alcuni pro­fes­so­ri han­no rispo­sto per Sintesi a que­sta doman­da. Dice il prof. Gobbi (inse­gnan­te licea­le di Lettere) che la poe­sia non è fug­gi­ta per sem­pre dal­le clas­si nostra­ne. Per far­la tor­na­re biso­gna però comin­cia­re a «far sco­pri­re un codi­ce comu­ni­ca­ti­vo che è ormai usci­to dal cir­cui­to del­la cul­tu­ra (del mer­ca­to edi­to­ria­le, dei media, del­la for­ma­zio­ne). L’ostacolo, spes­so, è la rigi­di­tà dei pro­gram­mi sco­la­sti­ci, di impo­sta­zio­ne strut­tu­ra­li­sta. È dif­fi­ci­le far ama­re qual­co­sa che appa­re come un coa­cer­vo di figu­re reto­ri­che, sche­mi metri­ci, cam­pi seman­ti­ci e nul­la più; dif­fi­ci­le, soprat­tut­to quan­do si deve veri­fi­ca­re ogni pas­sag­gio, con lo scru­po­lo a cui ci han­no ridot­ti le nuo­ve nor­me. Se s’insegna che un testo poe­ti­co è una spe­cie di rom­pi­ca­po da sezio­na­re in vista del­la veri­fi­ca e nient’altro, è dif­fi­ci­le che la poe­sia ven­ga apprez­za­ta per quel­lo che real­men­te è».

Anche per Angela Allegra (inse­gnan­te di Lettere di Milano) la sto­ria è la stes­sa: «Abituati ad una socie­tà fre­ne­ti­ca come la nostra, si fa dav­ve­ro fati­ca a far leg­ge­re qual­co­sa di lun­go. La poe­sia però ha un mes­sag­gio d’impatto e rie­sce a toc­ca­re l’emotività sog­get­ti­va, pur neces­si­tan­do per esser apprez­za­ta del­la media­zio­ne dell’insegnante. Non ci sono cana­li spon­ta­nei di frui­zio­ne di un mes­sag­gio artistico».

Insomma l’educazione ai clas­si­ci non è impos­si­bi­le e non è anco­ra ora di get­ta­re la spu­gna. Ariosto e Pirandello pos­so­no esse­re por­ta­ti in aula anche nel 2012, ma a un pat­to: «Bisogna sem­pre attua­liz­za­re il mes­sag­gio del clas­si­co che si pro­po­ne: tro­va­re ciò che di attua­le pro­po­ne e far­lo diven­ta­re un mes­sag­gio per lo studente».

Alzare la manoIn altre paro­le, stu­den­ti e inse­gnan­ti devo­no venir­si incon­tro. I secon­di devo­no sape­re cat­tu­ra­re il cuo­re e la testa di chi han­no davan­ti, anche se si trat­ta di un’orda di ado­le­scen­ti con in testa solo il cal­cio e la PlayStation. Gaia Guarienti (inse­gnan­te di Lettere al liceo) ha una pro­po­sta: «La scuo­la dovreb­be pro­por­re auto­ri più attua­li, sen­za però dimen­ti­ca­re i clas­si­ci sen­za tem­po. Dante, ad esem­pio, è fon­da­men­ta­le: attra­ver­so i suoi scrit­ti ci avvi­ci­nia­mo alle que­stio­ni essen­zia­li del­la vita, dell’anima, del­la poli­ti­ca, dei pro­ble­mi dell’oggi. A que­sto va aggiun­to qual­co­sa di più accat­ti­van­te, più velo­ce da leg­ge­re, con più ener­gia: Pennac, Stefano Benni, Ammaniti».

I pes­si­mi­smi scon­so­la­ti del­la Mastrocola non sono dun­que riman­da­ti a set­tem­bre: la situa­zio­ne è scon­cer­tan­te e sem­bra dav­ve­ro che la let­te­ra­tu­ra abbia meno valo­re nel­la nostra scuo­la e cul­tu­ra. Il pro­fes­so­re in clas­se però non è anco­ra del tut­to impo­ten­te: la chia­ve di vol­ta risie­de nel­la capa­ci­tà d’investire testi vec­chi di doman­de nuo­ve. L’importante è che i clas­si­ci sia­no con­nes­si con la vita, non con­ge­la­ti nell’iperspazio. La poe­sia rima­ne insom­ma, tut­tog­gi, qual­co­sa che può anco­ra cam­bia­re la vita del­le persone.

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