Togliere il disturbo. Se a scuola non studia più nessuno, se l’amore per la cultura si è volatilizzato, cosa ci stanno a fare gli insegnanti in aula? Non è meglio che lascino gli studenti al loro mondo fatato di Facebook, sms, feste, vestiti all’ultima moda? Lo sfogo di Paola Mastrocola è tutto nel titolo del suo libro: Togliamo il disturbo. La scrittrice/insegnante di Torino alza bandiera bianca. E come non darle torto? Sembra che le sue classi siano branchi di studenti amorfi, nullafacenti e lontani anni luce da Tasso, Dante, Montale. Come non darle ragione poi, sulla preparazione miserevole degli alunni liceali italiani?
Ma il j’accuse della Mastrocola va oltre: si spinge a dire che il cuore dei ragazzi è oggi chiuso all’esperienza della lettura e della grande poesia. La vita dei ragazzi devia drasticamente dal raccoglimento necessario a un sentire profondo. In altre parole, lo stile di vita degli adolescenti di oggi rende difficile lo studio, l’approfondimento e la conoscenza della lingua, della grammatica, della sintassi, del lessico. Le orecchie, ma soprattutto (e molto più spesso) i sentimenti, rimangono serrati di fronte all’arte, alla poesia e a tutto il tesoro di umanità in essa racchiuso.
In questo quadro sconsolato, spunta una domanda: è solo questione di (mancanza di) studio o di una miopia inguaribile di questa generazione verso la bellezza? La Mastrocola risponde che senza il primo non è possibile contemplare la seconda. Senza faticare sui libri per ore e meditare sulle parole non è possibile capire metafore e immagini poetiche.
La presente generazione è quindi votata all’ignoranza letteraria? Alcuni professori hanno risposto per Sintesi a questa domanda. Dice il prof. Gobbi (insegnante liceale di Lettere) che la poesia non è fuggita per sempre dalle classi nostrane. Per farla tornare bisogna però cominciare a «far scoprire un codice comunicativo che è ormai uscito dal circuito della cultura (del mercato editoriale, dei media, della formazione). L’ostacolo, spesso, è la rigidità dei programmi scolastici, di impostazione strutturalista. È difficile far amare qualcosa che appare come un coacervo di figure retoriche, schemi metrici, campi semantici e nulla più; difficile, soprattutto quando si deve verificare ogni passaggio, con lo scrupolo a cui ci hanno ridotti le nuove norme. Se s’insegna che un testo poetico è una specie di rompicapo da sezionare in vista della verifica e nient’altro, è difficile che la poesia venga apprezzata per quello che realmente è».
Anche per Angela Allegra (insegnante di Lettere di Milano) la storia è la stessa: «Abituati ad una società frenetica come la nostra, si fa davvero fatica a far leggere qualcosa di lungo. La poesia però ha un messaggio d’impatto e riesce a toccare l’emotività soggettiva, pur necessitando per esser apprezzata della mediazione dell’insegnante. Non ci sono canali spontanei di fruizione di un messaggio artistico».
Insomma l’educazione ai classici non è impossibile e non è ancora ora di gettare la spugna. Ariosto e Pirandello possono essere portati in aula anche nel 2012, ma a un patto: «Bisogna sempre attualizzare il messaggio del classico che si propone: trovare ciò che di attuale propone e farlo diventare un messaggio per lo studente».
In altre parole, studenti e insegnanti devono venirsi incontro. I secondi devono sapere catturare il cuore e la testa di chi hanno davanti, anche se si tratta di un’orda di adolescenti con in testa solo il calcio e la PlayStation. Gaia Guarienti (insegnante di Lettere al liceo) ha una proposta: «La scuola dovrebbe proporre autori più attuali, senza però dimenticare i classici senza tempo. Dante, ad esempio, è fondamentale: attraverso i suoi scritti ci avviciniamo alle questioni essenziali della vita, dell’anima, della politica, dei problemi dell’oggi. A questo va aggiunto qualcosa di più accattivante, più veloce da leggere, con più energia: Pennac, Stefano Benni, Ammaniti».
I pessimismi sconsolati della Mastrocola non sono dunque rimandati a settembre: la situazione è sconcertante e sembra davvero che la letteratura abbia meno valore nella nostra scuola e cultura. Il professore in classe però non è ancora del tutto impotente: la chiave di volta risiede nella capacità d’investire testi vecchi di domande nuove. L’importante è che i classici siano connessi con la vita, non congelati nell’iperspazio. La poesia rimane insomma, tuttoggi, qualcosa che può ancora cambiare la vita delle persone.