«La Siae è il male». Questa frase, soprattutto negli ultimi tempi, si è sentita parecchio, quasi a rappresentare il diffuso malumore verso le norme che regolano il copyright. Questo marchio è visto più come nero giustiziere degli accaniti downloader, che come riconoscitore delle produzioni artistiche.
In effetti, leggi che riducono la possibilità di diffondere contenuti multimediali – per evitare che siano copiati illegalmente – non mancano. Tuttavia spesso questi provvedimenti falliscono nel riconoscere agli autori quanto è loro dovuto. Si stima che il 97,5 % di loro guadagni meno di mille euro al mese attraverso l’attuale sistema. Difficile quindi – quasi impossibile – campare d’arte. Non stupisce pertanto che la reazione più comune di fronte all’affermazione «faccio il musicista di professione», sia solitamente: «sì, e oltre a questo?».
Le attuali norme non facilitano nessuno: né gli artisti, né chi l’arte l’acquista. Le nuove tecnologie sono percepite maggiormente come potenti prodigi elettronici per ottenere servizi gratuiti, che come mezzi per diffondere legalmente i propri contenuti.
Risulta contestatissimo il Sopa ( Stop Online Piracy Act), proposta di legge made in Usa contro la pirateria online: con una sua approvazione, il ministro della Giustizia statunitense potrebbe imporre ai provider di bloccare accesso, pubblicità e finanziamento ai siti che pubblicano illegalmente materiale protetto da copyright. Sarebbe quindi punibile anche solo linkare contenuti che violino il diritto d’autore, in quanto ne favorirebbero la diffusione.
Di conseguenza, i gestori dei siti sarebbero obbligati a controllare preventivamente tutto il materiale pubblicato dagli utenti (impresa epica se facciamo riferimento a Twitter, Facebook o YouTube). Inoltre avrebbero poteri molto ampi: fino alla censura dei motori di ricerca e all’intervento nel sistema Dns (“domain name system”) che distribuisce i nomi dei siti web. Se la proposta di legge passasse, si tratterebbe di un pesante blocco allo sviluppo di nuove idee e di un incredibile rallentamento della rete. Un pò come se in autostrada si facessero controlli su ogni cosa trasportata: ne deriverebbero code infinite ai caselli, nascita di corsie preferenziali… In sostanza: costi e tempi di percorrenza variano a seconda del maggiore o minore controllo.
È condivisibile il concetto che per inventare qualcosa siano necessarie almeno due persone: una che pensa l’idea, l’altra che la riconosce come tale. Altrimenti saremmo tutti artisti autocertificati: scrittori senza editori, registi senza produttori, etc. Non basta il programma Word per scrivere un best seller, o una telecamera per essere regista: chi si fa garante della tecnica e della qualità di tali prodotti? Riconosciamo quindi l’importanza del ruolo dei “riconoscitori d’idee”; ma è importante che tali “riconoscitori” non cerchino di lucrare dalla loro attività, ad esempio aumentando il tempo di validità del copyright.
Quest’ultimo varia a seconda del soggetto (medicinali, musica, software, etc.) e dovrebbe consentire il guadagno, oltre al recupero dei costi sostenuti. Inizialmente la morte dell’autore di un’opera causava l’estinzione del diritto d’autore; oggi invece rimane in vigore dai 30 ai 70 anni dopo la sua dipartita (passando agli eredi) e l’editore ne trae il 50% del guadagno (mentre per un normale intermediario il ricavo è solitamente del 20%). Così, nel caso volessimo destreggiarci in un remake di Harry Potter, dovremmo pagare i diritti alla Rowling fino al 2116 (la saga del maghetto ha visto la sua prima pubblicazione nel 1998). Magari un sonno criogenico potrebbe aiutarci ad arrivare a quella data e scampare questo modico aggravio.
Implicito che ognuno tiri l’acqua al suo mulino: nel 1998 Walt Disney spinse per l’adozione di nuove regole sul copyright, al fine di proteggere le sue produzioni cinematografiche più datate. Eppure lui stesso creò il suo impero sfruttando le idee di altri per i suoi lungometraggi (Biancaneve dei fratelli Grimm, Pinocchio di Collodi, Alice nel paese delle meraviglie di Carrol, etc.). Lo scopo del copyright è quello di promuovere il progresso di arte e scienza, assicurando agli autori l’esclusività delle loro produzioni. Siamo sicuri che oggi sia così, o non tuteli invece eccessivamente il semplice tornaconto degli editori?