Soluzione a senso unico

Enrico Labriola,

One WayIl siste­ma che ci ha por­ta­to in que­sta cri­si è l’unico che abbia­mo. Possiamo discu­te­re e incaz­zar­ci per quan­to il capi­ta­li­smo sia ini­quo e anti-socia­le, ma ad oggi non esi­ste un’alternativa organica.

Ci sono miglia­ia di esem­pi che dimo­stra­no come si sia riu­sci­ti a con­ci­liar­lo con demo­cra­zia ed equi­tà nel­la distri­bu­zio­ne di ric­chez­ze e oppor­tu­ni­tà: basti pen­sa­re ai Paesi scan­di­na­vi o alle comu­ni­tà auto­go­ver­na­te e soste­ni­bi­li in India. Chi par­la di demo­li­re il capi­ta­li­smo o la finan­za dal­le fon­da­men­ta, dimen­ti­ca spes­so che den­tro quel­lo stes­so siste­ma ci vive. Con cosa potreb­be rimpiazzarlo?

Come sot­to­li­nea­to da mol­ti ana­li­sti – tra cui Nouriel Roubini nel suo La cri­si non è fini­ta – la reces­sio­ne del 2007 è sta­ta gene­ra­ta prin­ci­pal­men­te dal­la man­can­za di rego­le ade­gua­te nel mon­do del­la finan­za. In que­sti anni, in assen­za di diret­ti­ve ido­nee nel siste­ma finan­zia­rio, si è pen­sa­to che pia­ni sem­pre più mas­sic­ci di sal­va­tag­gio pub­bli­co e spe­sa in defi­cit avreb­be­ro potu­to sal­va­re le eco­no­mie occi­den­ta­li dal­la cri­si e dall’incertezza, sen­za toc­ca­re i pila­stri del­la dere­gu­la­tion avvia­ta da Reagan negli anni ’80. Con il risul­ta­to che la debo­lez­za si è este­sa ai debi­ti degli Stati, i qua­li han­no impie­ga­to cen­ti­na­ia di miliar­di di dol­la­ri nei sal­va­tag­gi: nume­ro­se nazio­ni si sono tro­va­te costret­te a ope­ra­re tagli nei bilan­ci, con un impat­to nega­ti­vo su occu­pa­zio­ne e cre­sci­ta. Queste misu­re, tra l’altro, non sono riu­sci­te a cal­ma­re i mer­ca­ti e gli ope­ra­to­ri finan­zia­ri, ansio­si di por­ta­re a casa pro­fit­ti nel bre­ve termine.

Downward spiralSe voglia­mo usci­re da que­sta spi­ra­le, dob­bia­mo ragio­na­re sul­le rego­le da dare ai mer­ca­ti per evi­ta­re che cri­si siste­mi­che di que­ste pro­por­zio­ni pos­sa­no ripe­ter­si. Uno dei pro­ble­mi prin­ci­pa­li è la com­mi­stio­ne o la col­lu­sio­ne tra rego­la­to­ri e rego­la­ti. In altre paro­le: chi ha il com­pi­to di fare le rego­le (i poli­ti­ci) è spes­so coin­vol­to negli affa­ri del­le impre­se che dovreb­be rego­la­re, o vice­ver­sa capi­ta che le impre­se finan­zi­no le cam­pa­gne elet­to­ra­li. Ma suc­ce­de anche di peg­gio: che i poli­ti­ci ven­go­no appog­gia­ti, per poi resti­tui­re il favo­re sot­to for­ma di appal­ti e di rego­le compiacenti.

Da seco­li pen­sa­to­ri libe­ra­li come Adam Smith o John Locke han­no sot­to­li­nea­to la net­ta distin­zio­ne che dovreb­be esi­ste­re tra Stato e Mercato. Negli Usa i mag­gio­ri finan­zia­to­ri del­le cam­pa­gne elet­to­ra­li dell’ultimo decen­nio sono sta­te le socie­tà finan­zia­rie; que­sto spie­ga la rilut­tan­za del Congresso a ema­na­re qual­sia­si rego­la­men­to effi­ca­ce per limi­ta­re le pre­se di rischio ecces­si­ve, le spe­cu­la­zio­ni ille­ga­li, la crea­zio­ne di model­li distor­ti o che non ten­go­no con­to di even­ti inat­te­si – i famo­si cigni neri.

In Italia, la col­lu­sio­ne tra Stato e Mercato emer­ge in manie­ra evi­den­te dagli enor­mi con­flit­ti d’interesse: Berlusconi e Montezemolo fan­no il paio con i colos­si pub­bli­ci e le muni­ci­pa­liz­za­te, usa­ti come dispen­sa­to­ri di appal­ti “agli ami­ci” e come uffi­ci di col­lo­ca­men­to a fini elettorali.

DadoUn altro gra­ve pro­ble­ma è l’asimmetria nel­lo sce­na­rio inter­na­zio­na­le nel rispet­ta­re le rego­le del gio­co: o esse val­go­no per tut­ti, o vi sarà un’inesorabile spin­ta al ribas­so gene­ra­ta da chi que­ste rego­le non le accet­ta. Non ci rife­ria­mo solo a epi­so­di come gli scan­da­lo­si sus­si­di all’agricoltura di Usa e Ue – che ten­go­no fuo­ri dal mer­ca­to mon­dia­le l’Africa e i Paesi in via di svi­lup­po. Parliamo di con­di­zio­ni di lavo­ro inac­cet­ta­bi­li, come quel­le degli ope­rai tes­si­li (per esem­pio di H&M) nel Sud-est asiatico.

Se pro­te­stia­mo con­tro le delo­ca­liz­za­zio­ni, dob­bia­mo innan­zi­tut­to fare pres­sio­ni con­tro que­gli Stati che non appli­ca­no le rego­le del gio­co – cioè dirit­ti uma­ni e dirit­ti del lavo­ro. Il pro­ble­ma è che que­ste rego­le anco­ra non sono for­ma­liz­za­te a livel­lo glo­ba­le: il mer­ca­to è glo­ba­le, ma le rego­le sono loca­li. Il Wto ha pro­mos­so l’apertura del com­mer­cio tes­si­le con la fine dell’accor­do mul­ti­fi­bre (2005), ma nes­su­no ha pen­sa­to di respon­sa­bi­liz­za­re e coor­di­na­re gli Stati nel dar­si simi­li rego­le glo­ba­li sui dirit­ti del lavoro.

In un cer­to sen­so, le bat­ta­glie per i dirit­ti mini­mi dei lavo­ra­to­ri in Cina han­no un impat­to for­te sul­la disoc­cu­pa­zio­ne anche qui nel mon­do occi­den­ta­le. È ora che, assie­me a pro­ble­mi glo­ba­li, s’imponga nell’agenda inter­na­zio­na­le anche una respon­sa­bi­li­tà glo­ba­le. Non si trat­ta di discor­si “di destra” o “di sini­stra”; si trat­ta d’impedire che altri esse­ri uma­ni muo­ia­no in fab­bri­ca, si sui­ci­di­no per il trop­po lavo­ro e che i loro sala­ri sia­no supe­rio­re al livel­lo di sus­si­sten­za. Le loro bat­ta­glie devo­no esse­re per for­za le nostre.

L'unione fa la forzaChi si bat­te per cam­bia­re dav­ve­ro le cose deve rico­no­sce­re che un gover­no dei feno­me­ni glo­ba­li – un gover­no demo­cra­ti­co mon­dia­le – è oggi neces­sa­rio. Ciò signi­fi­ca ripen­sa­re gli stru­men­ti del­la demo­cra­zia – sen­za cade­re nel popu­li­smo o nel pero­ni­smo – e far sì che a livel­lo inter­na­zio­na­le si con­di­vi­da­no del­le rego­le mini­me su com­mer­cio, finan­za, lavo­ro, istru­zio­ne, ambien­te, dirit­ti umani.

Le isti­tu­zio­ni da coin­vol­ge­re ci sono già: l’Onu ha già for­ni­to degli stan­dard di rego­la­men­ta­zio­ne mini­ma su dirit­ti uma­ni, giu­sti­zia inter­na­zio­na­le e com­mer­cio (attra­ver­so il Wto). L’Ue e il G20 stan­no lavo­ran­do a diver­si fon­di di sal­va­tag­gio, ma si occu­pa­no poco del­le nuo­ve rego­le da dare ai mercati.

Tuttavia que­ste isti­tu­zio­ni sof­fro­no di un defi­cit di demo­cra­zia e rap­pre­sen­ta­ti­vi­tà. In paro­le pove­re: a con­ta­re sono anco­ra solo gli Stati nazio­na­li. Se non si vuo­le entra­re in un perio­do di cri­si ricor­ren­ti e d’incertezza per­ma­nen­te, biso­gna fare rifor­me glo­ba­li. E far­le in fret­ta. Le isti­tu­zio­ni esi­sten­ti sono gli uni­ci forum mul­ti­la­te­ra­li dove si può chie­de­re da subi­to che ven­ga­no mes­se in agen­da tema­ti­che glo­ba­li. Lavorare den­tro le isti­tu­zio­ni per cam­bia­re la loro mis­sio­ne – o per inver­tir­ne la dire­zio­ne – sarà sicu­ra­men­te un lavo­ro duro e fati­co­so; ma è l’unica chan­ce con­cre­ta che abbia­mo oggi.

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