Uno era un poeta, tra più grandi dei nostri tempi; l’altro correva in moto. Uno era un intellettuale; l’altro correva in moto. Uno si è occupato di ambiente, rivalutazione del territorio, tossicodipendenza; l’altro correva in moto. Entrambi sono morti. Per il primo sono stati scritti alcuni articoli e trasmessi due servizi (pomeriggio e sera) dai principali Tg. Al secondo sono stati dedicati tre giorni di servizi, memoriali, interviste agli amici, ai parenti, agli avversari e ai cittadini. Poi il funerale in diretta televisiva come neanche per… un poeta.
Simoncelli correva in moto: affrontava il pericolo, era giovane, talentuoso, divertente. Nel giro di qualche ora questo “bravo ragazzo” è stato trasformato in un “mito”. Una trasformazione architettata ad hoc dai media, che hanno visto in lui – come negli altri centinaia di Simoncelli di turno – un prodotto da vendere, svendere e rivalutare, a seconda dei momenti; per poi sfruttarne al massimo l’aura sacrale sprigionatasi al culmine con la morte. Andrea Zanzotto invece era un uomo di cultura. Vecchio, serio, riflessivo. Anche lui “un tipo perbene”; ma non abbastanza. Avesse avuto almeno corde vocali avvezze al grido e alla trivialità come quelle di Sgarbi! Avesse avuto almeno il protagonismo estivo e un po’ puerile di Vasco Rossi! Allora sì che ci saremmo accorti della sua morte…
Qualche settimana fa, sono morti Steve Jobs e Wilson Greatbatch. Due geni del Novecento. Il primo ha inventato il Mac, l’iPod, l’iPhone e l’iPad. È stato salutato come si saluta un profeta, per essere stato capace di rivoluzionare il mondo della tecnologia. Il secondo è stato a stento salutato. Anche lui era un inventore, ma evidentemente non del calibro di Jobs. Che le sue invenzioni non siano state tanto incisive? Che non siano state frutto delle capacità veggenti di chi riesce a vedere il futuro? Che non abbiano cambiato il nostro modo di vivere? Wilson Greatbatch, per essere ricordato degnamente, avrebbe dovuto inventare qualcosa di più “fico” di un pacemaker.
Wilson Greatbatch e Andrea Zanzotto sono stati due uomini grandi in ambiti differenti – scienza e cultura – accumunati dalla stessa iattura: quella di non essere diventati dei “miti”. Non per colpa loro, s’intende. Oggi l’essere un “mito” non dipende dal valore reale di una persona; per avere le “carte in regola” serve essere in sincronia con il sistema informativo, commerciale e pubblicitario. Avere il “ritmo interno” del prodotto, insomma.
La storia di Marco Simoncelli è simile a quella di uno stallone da corsa sfortunato. Fenomenale in pista, un talento promettente che poi, per fatalità, si azzoppa; siccome nulla si spreca, lo si conduce al macello per farne delle bistecche e si rimpiangono, durante la macellazione, le gare che avrebbe potuto vincere. La processione del feretro in chiesa – trasmessa in diretta televisiva sul servizio pubblico – non è stata nient’altro che l’ultimo favore che Simoncelli avrebbe potuto fare alle tasche del sistema mediatico: l’ultimo tributo del cavallo al suo padrone. Ciao Marco, e grazie!
Antonio Tasso e Orlando Vuono