Gli studenti e il presidente

Orlando Vuono,

La educacion se defendePresiede l’esecutivo di destra in uno dei Paesi più impor­tan­ti del suo con­ti­nen­te ed è uno dei mag­gio­ri impren­di­to­ri del­la nazio­ne. Possiede tele­vi­sio­ni, cate­ne di super­mer­ca­ti, impre­se edi­li e una squa­dra di cal­cio. Stiamo par­lan­do di Sebastián Piñera, l’uomo che dall’11 mar­zo del 2010 reg­ge le sor­ti del Cile. Per esse­re elet­to ha cedu­to le quo­te del­la com­pa­gnia aerea Lan, una del­le più impor­tan­ti del Paese. È uno degli uomi­ni più ric­chi del mon­do e il suo capi­ta­le è aumen­ta­to di parec­chi milio­ni di dol­la­ri da quan­do ha ini­zia­to a gui­da­re l’esecutivo.

Influenza diret­ta sui media, dena­ro a non fini­re, acces­so alle leve del coman­do: som­man­do que­sti fat­to­ri si ottie­ne un pote­re smi­su­ra­to, ine­gua­glia­bi­le, appa­ren­te­men­te infran­gi­bi­le. Solo appa­ren­te­men­te, però, per­ché ora tut­to que­sto sem­bra non basta­re. Nei son­dag­gi il gra­di­men­to di Piñera sta crol­lan­do ver­ti­gi­no­sa­men­te. Poco tem­po fa è sta­to addi­rit­tu­ra for­za­to a cam­bia­re un mini­stro, quel­lo dell’Educazione.

La cosa incre­di­bi­le è che tale crol­lo è dovu­to alle pro­te­ste di sem­pli­ci stu­den­ti, che non han­no ingen­ti risor­se eco­no­mi­che e sono snob­ba­ti dal­la stam­pa. In com­pen­so però sono tan­ti, deter­mi­na­tis­si­mi e lot­ta­no per risol­ve­re un pro­ble­ma serio: un siste­ma edu­ca­ti­vo inso­ste­ni­bi­le per le fami­glie. La que­stio­ne è spi­no­sa e lo testi­mo­nia il fat­to che qua­si tut­ta la popo­la­zio­ne si è schie­ra­ta dal­la par­te dei ragaz­zi. Sembra che a difen­de­re il siste­ma vigen­te sia­no rima­sti solo i ban­chie­ri, gli impre­sa­ri, alcu­ni ret­to­ri e l’esecutivo.

Megafono studentessa cilenaDavanti a un bic­chie­re di vino tin­to nel­lo sto­ri­co bar La Playa di Valparaiso, Carlos (elet­tri­ci­sta) ci rac­con­ta la sua sto­ria: «Uno dei mie figli stu­dia psi­co­lo­gia in una “Uni” pri­va­ta per­ché alla pub­bli­ca non è sta­to ammes­so. La ret­ta mi costa 500 dol­la­ri ame­ri­ca­ni al mese; io ne gua­da­gno 1.500 e mia moglie ha uno sti­pen­dio mol­to bas­so. L’altro mio figlio, più pic­co­lo, suo­na la chi­tar­ra e spe­ro che tro­vi la sua stra­da nel­la musi­ca o che vada a lavo­ra­re, per­ché altri­men­ti non so pro­prio come pagare».

La pro­te­sta degli stu­den­ti va avan­ti da qua­si quat­tro mesi. Molteplici mani­fe­sta­zio­ni set­ti­ma­na­li, scio­pe­ri, occu­pa­zio­ni: ormai è que­sta l’attività di miglia­ia di gio­va­ni cile­ni. Dal deser­to di Atacama fino alla Patagonia, nes­su­no si tira indie­tro. Ma il cuo­re del movi­men­to si tro­va nel­la capi­ta­le, Santiago.

Passiamo una not­te con i pro­ta­go­ni­sti che han­no occu­pa­to la sede cen­tra­le dell’Università del Cile, la più pre­sti­gio­sa del Paese. Dalla mat­ti­na alla sera i ragaz­zi orga­niz­za­no atti­vi­tà di fron­te all’ateneo. Hanno crea­to una sor­ta di sta­zio­ne radio e ogni gior­no intrat­ten­go­no i pas­san­ti con musi­ca, dibat­ti­ti, gio­chi a pre­mi. Di fian­co a loro incon­tria­mo Sandra, una madre qua­ran­ten­ne che ven­de sand­wich per finan­zia­re il movi­men­to. «Ne pre­pa­ro qua­ran­ta ogni mat­ti­na – ci dice – e tut­ti i pome­rig­gi, fini­to di lavo­ra­re, ven­go qui. Non ho sal­ta­to nean­che un gior­no da tre mesi a que­sta par­te» . Oltre a lei ci sono altri adul­ti che si impe­gna­no per aiu­ta­re, ognu­no come può. Diego per esem­pio nel­la vita ven­de libri usa­ti. I figli sono già lau­rea­ti ma lui ne rega­la qual­cu­no ai ragaz­zi del­la radio, affin­chè li usi­no come pre­mi in palio: «Lo fac­cio per i miei nipo­ti­ni» ci con­fi­da con un sor­ri­so malinconico.

Manifesto Cile manoVarcando la por­ta dell’università, si acce­de al quar­tier gene­ra­le del movi­men­to. Tutti gli spa­zi ora svol­go­no una fun­zio­ne diver­sa da quel­la di un tem­po. La sala con­fe­ren­ze è usa­ta per pre­pa­ra­re i car­tel­lo­ni e gli stri­scio­ni; la sala lau­ree ser­ve per le assem­blee; le aule sono costel­la­te di sac­chi a pelo e adi­bi­te a dormitori.

In cor­ri­do­io incon­tria­mo Camilo Espinosa, 22 anni, stu­den­te di gior­na­li­smo. Fa par­te del­la Fech (la fede­ra­zio­ne stu­den­te­sca più impor­tan­te) e ci spie­ga qua­li sono i pro­ble­mi del siste­ma edu­ca­ti­vo: «Prima del­la dit­ta­tu­ra di Pinochet l’istruzione era com­ple­ta­men­te gra­tui­ta. Poi, con il perio­do del­le pri­va­tiz­za­zio­ni for­za­te, anche il siste­ma edu­ca­ti­vo ven­ne rifor­ma­to. Con la leg­ge del 1981 nasco­no mol­te­pli­ci uni­ver­si­tà e col­le­gi pri­va­ti, il cui sco­po prin­ci­pa­le è quel­lo di lucra­re; paral­le­la­men­te dimi­nui­sco­no i finan­zia­men­ti agli ate­nei sta­ta­li. Con il ritor­no alla demo­cra­zia, i gover­ni di cen­tro­si­ni­stra non han­no fat­to nul­la per cam­bia­re. Il pro­ble­ma è che que­sto siste­ma non è più soste­ni­bi­le. Le uni­ver­si­tà sono trop­po care e la qua­li­tà indecente».

Lo Stato cile­no oggi finan­zia diret­ta­men­te le uni­ver­si­tà solo in manie­ra mar­gi­na­le: 13% nel miglio­re dei casi, 4-5% in media. Il resto chi lo paga? Le fami­glie. Come? Chiedendo pre­sti­ti alle ban­che. E qui si com­pli­ca la fac­cen­da: que­ste ulti­me infat­ti pon­go­no tas­si d’interesse ele­va­tis­si­mi. Tanto che, una vol­ta lau­rea­ti, i ragaz­zi non rie­sco­no a gua­da­gna­re abba­stan­za per paga­re e così il debi­to del­la fami­glia sem­bra desti­na­to a non estin­guer­si mai. Ciò vale soprat­tut­to per chi ha stu­dia­to mate­rie umanistiche.

Camilo è cate­go­ri­co sul pun­to: «Come movi­men­to noi chie­dia­mo l’annullamento di tut­ti que­sti debi­ti, che altri­men­ti dure­ran­no per l’eternità, spos­san­do una popo­la­zio­ne inte­ra. Inoltre voglia­mo che lo Stato finan­zi diret­ta­men­te le “Uni” al 50 per cen­to; in futu­ro poi que­sta per­cen­tua­le dovrà aumen­ta­re gra­dual­men­te fino al 100 per cento».

Si cal­co­la che per attua­re que­ste pro­po­ste sia­no neces­sa­ri 1.800 milio­ni di dol­la­ri annui. Gli stu­den­ti han­no pro­po­sto di ri-nazio­na­liz­za­re il rame, come ave­va fat­to Allende: secon­do alcu­ni stu­dio­si in que­sto modo si otter­reb­be pro­prio la cifra neces­sa­ria. Con un’iniziativa pit­to­re­sca i ragaz­zi han­no posto tale que­stio­ne sot­to i riflet­to­ri: 1.800 ore di cor­sa attor­no a La Moneda, il palaz­zo pre­si­den­zia­le. Michelle Carnot, respon­sa­bi­le dell’iniziativa, ci rac­con­ta che «l’obiettivo è sta­to rag­giun­to in 75 gior­ni; abbia­mo cor­so di gior­no e di not­te e han­no par­te­ci­pa­to non solo stu­den­ti, ma anche un bam­bi­no di due anni e mez­zo, una signo­ra di 80 e addi­rit­tu­ra un carabiniere».

Bandiera mappa CileEntrando in cuci­na a tar­da sera assi­stia­mo alla pre­pa­ra­zio­ne del­la cena, che non vie­ne mai ser­vi­ta pri­ma del­le 23. Daniel Papic è al secon­do anno di sto­ria; ora però si occu­pa di rifor­ni­re gli sto­ma­ci dei com­pa­gni. Tra il taglio di una cipol­la e quel­lo di una zuc­chi­na, ci dà il suo pare­re sugli acco­sta­men­ti che sono sta­ti fat­ti con i movi­men­ti nor­da­fri­ca­ni: «Qui non stia­mo viven­do un pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio, ben­sì un cam­bio legi­sla­ti­vo, costi­tu­zio­na­le e rifor­mi­sta». Prova a spie­gar­ci cosa con­trad­di­stin­gue que­sta gene­ra­zio­ne di gio­va­ni cile­ni, che è sta­ta la stes­sa pro­ta­go­ni­sta, nel 2006, del­la cosid­det­ta rivol­ta dei pin­gui­ni (un mese di pro­te­ste e mani­fe­sta­zio­ni degli stu­den­ti dei col­le­gi): «Innanzitutto sia­mo accu­mu­na­ti da una tota­le sfi­du­cia ver­so la clas­se poli­ti­ca. In altre paro­le: se ci fos­se sta­ta la sini­stra al gover­no, non sareb­be cam­bia­to nul­la. Non ci sen­tia­mo rap­pre­sen­ta­ti da nes­su­no e per que­sto sen­tia­mo il biso­gno di alza­re la voce. Rispetto agli stu­den­ti del pas­sa­to, non abbia­mo pau­ra di mani­fe­sta­re e di met­ter­ci con­tro il gover­no. Questo per­ché sia­mo nati negli ulti­mi anni del­la dit­ta­tu­ra: abba­stan­za pre­sto per sape­re cosa fos­se e abba­stan­za tar­di per non esser­ne trop­po con­di­zio­na­ti. I nostri geni­to­ri per esem­pio, pur appog­gian­do­ci, sono anco­ra vit­ti­me del cli­ma di ter­ro­re che si respi­ra­va con Pinochet. Oggi ci chia­ma­no tut­ti i gior­ni con le voci pre­oc­cu­pa­te e le madri che han­no mani­fe­sta­to nel­le piaz­ze insie­me a noi, lo han­no fat­to piangendo».

Dopo cena si va a dor­mi­re. Alcuni leg­go­no, altri suo­na­no e can­ta­no: alter­na­no alle can­zo­ni di Victor Jara – sto­ri­co can­tau­to­re cile­no ucci­so dai mili­ta­ri – quel­le di John Lennon. La mat­ti­na sve­glia pre­sto e si rico­min­cia con un altro gior­no di lot­ta. Se si pro­va a doman­da­re a uno qua­lun­que di loro se non sia un pro­ble­ma per­de­re tan­te ore di lezio­ne, rispon­do­no tut­ti più o meno così: «Per otte­ne­re un bene supe­rio­re, col­let­ti­vo e socia­le, sia­mo dispo­sti a per­de­re anche anni».

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