Troppa democrazia

Orlando Vuono,

ConversazioneTroppa demo­cra­zia, a vol­te, può far male. I risul­ta­ti del refe­ren­dum del 12 e 13 giu­gno sono sta­ti accol­ti come il trion­fo del­la par­te­ci­pa­zio­ne, il supe­ra­men­to dell’apatia nutri­ta ver­so la nazio­ne, l’umiliazione dell’inerzia civi­le, il tri­pu­dio del­la liber­tà. In real­tà mi sem­bra che i veri vin­ci­to­ri sia­no sta­ti tre: con­for­mi­smo, dema­go­gia e disin­for­ma­zio­ne. Già, per­ché dei 95% dei “Sì”, solo una tra­scu­ra­bi­le mino­ran­za pro­vie­ne da scel­te coscien­ti e consapevoli.

Quando sen­ti ripe­te­re – nel­le stra­de, nei bar, nel­le aule uni­ver­si­ta­rie – che biso­gna anda­re a vota­re “Sì” con­tro il nuclea­re per evi­ta­re una Chernobyl ita­lia­na; quan­do con­ti­nui a sen­ti­re che è dove­ro­so recar­si ai seg­gi per evi­ta­re che la pro­prie­tà dell’acqua, da pub­bli­ca, diven­ti pri­va­ta; quan­do ti rac­con­ta­no che sen­za quo­rum l’Italia si ritro­ve­reb­be sen­za futu­ro, allo­ra, final­men­te, capi­sci che indi­re que­sti refe­ren­dum è sta­to un gros­so errore.

Colpa dei media? Solo in par­te. Qualche quo­ti­dia­no ha pro­va­to a spie­ga­re decen­te­men­te qua­li era­no i pun­ti che i refe­ren­dum vole­va­no abro­ga­re. Ma si sa quan­to sia di nic­chia il pub­bli­co del­la car­ta stam­pa­ta. La tele­vi­sio­ne poi, nono­stan­te le sue enor­mi poten­zia­li­tà divul­ga­ti­ve, ha abdi­ca­to sen­za trop­pi cruc­ci alla pro­pria fun­zio­ne informativa.

Molti sosten­go­no che l’affluenza ai seg­gi sia sta­ta così ele­va­ta gra­zie a Facebook, che ha infor­ma­to milio­ni di ragaz­zi – e di con­se­guen­za le loro fami­glie – spro­nan­do­li al voto. E non aggiun­go­no, alla fine del­la fra­se, nean­che un “pur­trop­po”. Può dir­si serio un Paese che affi­da ai social net­work l’informazione su que­stio­ni qua­li il pro­prio desti­no ener­ge­ti­co o la libe­ra­liz­za­zio­ne dei ser­vi­zi idri­ci? Facebook non pone alcun fre­no alla dema­go­gia, anzi, diven­ta il caval­lo sul qua­le il popu­li­smo può galop­pa­re a spron bat­tu­to. Ciò dovreb­be desta­re allar­me e inve­ce non si fa che altro che tes­ser­ne le lodi.

Ma il pro­ble­ma di fon­do non è l’informazione. È l’idea stes­sa che un refe­ren­dum si pos­sa occu­pa­re di que­stio­ni così tec­ni­che. La doman­da è: come pos­so­no came­rie­ri, casa­lin­ghe, ope­rai, macel­lai, par­ruc­chie­ri, bidel­li, posti­ni, com­mes­si, spaz­zi­ni, atle­ti, bal­le­ri­ni, pom­pie­ri, piz­za­io­li, bagni­ni deli­be­ra­re su que­stio­ni come quel­la dell’acqua? Nessuno dubi­ta del­la loro intel­li­gen­za, ma cre­do sia dove­ro­so esse­re scet­ti­ci sul­le loro com­pe­ten­ze in meri­to a muni­ci­pa­liz­za­te, remu­ne­ra­zio­ni di capi­ta­li o libe­ra­liz­za­zio­ni in gene­ra­le. Lo stes­so discor­so vale anche per arti­sti, mae­stri, atto­ri, filo­so­fi, scrit­to­ri, poe­ti, can­tan­ti, medi­ci, stu­den­ti universitari.

Su que­stio­ni di prin­ci­pio, eti­che, idea­li, ognu­no può far­si la pro­pria opi­nio­ne ed è giu­sto che una popo­la­zio­ne sia inter­pel­la­ta ed abbia il pote­re di cam­bia­re le cose. Ma su que­stio­ni com­ples­se e ad ele­va­to tas­so di tec­ni­ci­tà, ser­vo­no com­pe­ten­ze altret­tan­to rilevanti.

I poli­ti­ci dovreb­be­ro saper pren­de­re deci­sio­ni che pos­so­no non pia­ce­re al popo­lo, ma lun­gi­mi­ran­ti e uti­li alla nazio­ne. Un bam­bi­no non deci­de­rà mai, di sua spon­ta­nea volon­tà, di pren­de­re una medi­ci­na. Perché ne igno­ra i bene­fi­ci futu­ri. Non è una col­pa la sua, anzi. Piuttosto, sareb­be gra­ve se i geni­to­ri asse­con­das­se­ro i suoi capric­ci e le sue lacri­me dispe­ra­te. Il bra­vo geni­to­re deve sape­re fare ciò che è giu­sto per il figlio, non ciò che gli piace.

Le éli­tes poli­ti­che ser­vo­no pro­prio a que­sto. Questo è il sen­so del­la demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­ti­va. Ma se non con­vin­ce, si può sem­pre ripie­ga­re su Facebook e affi­dar­si ai “mi pia­ce” clic­ca­ti dai cit­ta­di­ni-vir­tua­li. Tanti auguri.

 

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