La scuola rimane al centro delle polemiche. Questo inverno la deputata del Pdl Gabriella Carlucci è arrivata a proporre una commissione d’inchiesta per verificare l’obiettività dei libri scolastici. I motivi non sono nuovi: «Con la caduta del muro di Berlino e con la fine dell’ideologia comunista in Italia, i tentativi subdoli di indottrinamento si rafforzano, scagliandosi non solo contro gli attori della storia che hanno combattuto l’avanzata del comunismo, ma anche contro la parte politica che oggi è antagonista alla sinistra».
La situazione sembrerebbe molto grave. Le nuove generazioni sarebbero traviate da luoghi comuni di matrice marxista. Siamo andati quindi a chiedere un parere a due esperti: i due storici contemporaneisti Agostino Giovagnoli (Università Cattolica di Milano) e Ernesto Galli della Loggia (Università di Perugia).
Quest’ultimo non ha mezze misure: «C’è una legge del parlamento italiano che definisce cos’è l’obiettività per la Rivoluzione francese, per la prima guerra mondiale, per la Resistenza? I “libri di Stato” li fa soltanto un Paese o totalmente compatto, come la Svizzera degli anni ’30, oppure una nazione autoritaria dominata da partito unico».
Gli fa eco Giovagnoli: «La politica non ha per definizione gli strumenti per intervenire, in quanto non ha interesse ad affermare l’onestà intellettuale, la scientificità, la criticità dell’indagine storica. La politica punta piuttosto ad affermare la verità politica, che è legittima ma anche molto relativa al gioco di forze e agli equilibri di potere».
Se una proposta del genere è «da cestino diretto» (secca bocciatura anche della Società italiana per lo studio della storia contemporanea), la polemica della “scuola di partito” è molto cara al centro-destra e non solo. Ma ha un fondamento? Una premessa è d’obbligo: non esiste un metro per misurare la verità storica, che non è matematica, ma lascia spazio a molte opinioni. Per quanto riguarda i manuali di storia, Giovagnoli sembra smontare l’accusa: «Gli autori dei testi attualmente in circolazione sono molto più obiettivi di chi li scriveva in passato. Denunce simile rieccheggiano dei luoghi comuni, ma non nascono da un’analisi approfondita dei testi. Si tratta piuttosto di valutazioni ispirate da interessi politici che poco hanno a che fare con la preoccupazione per l’educazione dei giovani».
Galli della Loggia ammette un certo predominio culturale della sinistra, ma spiega: «Siccome nella cultura storica – e non solo nel nostro Paese – è molto più influente il punto di vista della sinistra di quello della destra, è inevitabile che nei manuali si riflettano maggiormente tali posizioni. Lo stesso vale per le trasmissioni televisive, per i film, le barzellette e per tutto ciò che concerne il discorso pubblico italiano». In ogni caso la strada da percorrere è un’altra: «Questa discussione sui manuali è la patetica scappatoia con cui la destra cerca di ovviare al suo minoritarismo culturale, al fatto che non riesce da cinquant’anni a esprimere un punto di vista culturale competitivo con quello della sinistra. Non riuscendoci, pensa di poterlo imporre attraverso il parlamento, facendo votare l’oggettività storica dalla maggioranza di centro-destra. Una sciocchezza. Queste cose si risolvono con gli strumenti della cultura, cioè scrivendo libri, esprimendo opinioni diverse».
Per concludere anche Giovagnoli ha una parola al proposito: «La politica dovrebbe interessarsi a creare delle condizioni per cui la ricerca scientifica, il dibattito culturale, l’approfondimento pedagogico e le questioni della didattica vengano affrontati liberamente, in modo tale che prevalgano le soluzioni migliori rispetto al fine che ci si propone, che è quello di educare i giovani a una conoscenza corretta onesta e utile».
Ma così si finisce per parlare di finanziamenti a ricerca e scuole superiori. Di certo un altro paio di maniche…