È un peccato che in Italia i referendum sul nucleare avvengano sempre poco dopo una tragedia. È successo nel novembre del 1987, una ventina di mesi dopo il disastro di Chernobyl; accadrà ancora nel giugno di quest’anno, a quattro mesi di distanza dalla sciagura di Fukushima.
Pochi giorni dopo lo tsunami che ha colpito il Giappone e causato l’allarme nucleare, capitava di sentire molti commenti di sollievo: riguardavano l’influenza che tali eventi avranno nei confronti del referendum di giugno. Sì, perché senza dubbio le cronache che arrivano dall’Oriente daranno parecchio da pensare all’opinione pubblica. Il sentimento dominante tra chi si recherà alle urne sarà infatti la paura. E questo è un guaio. Il dibattito, invece che fondarsi su argomentazioni scientifiche ed economiche, sarà viziato dal terrore che le immagini del Giappone suscitano in ognuno di noi. Utilizzo la parola “viziato” perché è evidente che il rischio che in Italia si verifichi una catastrofe simile a quella nipponica è praticamente inesistente. Purtroppo non ci sarà una sana discussione in cui sostenitori e oppositori del nucleare presenteranno le loro ragioni provando a confutare le tesi altrui.
I favorevoli proveranno, forse, a spiegare che al mondo esistono più di 400 centrali; che nella vicina Francia ce ne sono ben 57; che negli Stati Uniti i 104 impianti producono un quinto dell’energia consumata; che il nucleare fornisce il 15% dell’elettricità mondiale e che sostituirlo con il carbone aggraverebbe il problema del riscaldamento globale: ma sarà fiato sprecato.
I contrari non dovranno neanche affaticarsi a controbattere che non si sa nemmeno come smaltire le scorie; che i siti da destinare agli impianti sono un’incognita (nessuna Regione ha dato la propria disponibilità); che per costruire una centrale ci vogliono 10 anni e non basterebbe certo edificarne cinque o sei; che l’Italia dovrebbe importare l’uranio dall’estero e che quest’ultimo, comunque, è destinato a esaurirsi entro la fine del secolo.
Alla fine, quindi, prevarrà soltanto la paura, così come è successo vent’anni fa. Il nodo del nucleare non verrà sciolto e nessuno ci assicura che tra una decina di anni non ritorni al pettine.