Domande dalle piramidi

Enrico Labriola,

SfingeLa straor­di­na­ria mobi­li­ta­zio­ne popo­la­re in Egitto, diret­ta a rove­scia­re il gover­no di Mubarak e l’attuale clas­se poli­ti­ca cor­rot­ta, non è la pri­ma in un Paese che non smet­te di ribel­lar­si dai tem­pi dei farao­ni. Più di recen­te, nel 1919, gli egi­zia­ni si era­no sol­le­va­ti paci­fi­ca­men­te con­tro i colo­niz­za­to­ri bri­tan­ni­ci chie­den­do l’autogoverno. Successivamente, nel 1952, un col­po di Stato con­tro il re e la sua cor­te ave­va por­ta­to al pote­re Nasser e una nuo­va gene­ra­zio­ne di gio­va­ni uffi­cia­li. Disobbedienza civi­le, par­te­ci­pa­zio­ne fem­mi­ni­le, peti­zio­ni e pro­te­ste era­no gli ingre­dien­ti del­la sol­le­va­zio­ne popo­la­re del ’52, a cui oggi si aggiun­go­no Facebook, Twitter, Al Jazeera e miglia­ia di ragaz­zi egi­zia­ni. Si trat­ta di gio­va­ni istrui­ti, con una lau­rea ma sen­za un lavo­ro, con spe­ran­ze e aspi­ra­zio­ni diver­se da quel­le dei loro padri, intrap­po­la­ti in un Paese con scar­se liber­tà civili.

Le rivol­te in Egitto ci mostra­no uno sce­na­rio dram­ma­ti­co, di cui spes­so ci dimen­ti­chia­mo: a pochi chi­lo­me­tri dal­le nostre coste, regi­mi oppres­si­vi ten­go­no sot­to scac­co milio­ni di per­so­ne, sono un osta­co­lo alla costru­zio­ne d’istituzioni sta­bi­li e demo­cra­zie effet­ti­ve, impe­di­sco­no la rea­liz­za­zio­ne di tan­ti gio­va­ni e don­ne, ammu­to­li­sco­no ogni dis­sen­so e incar­ce­ra­no gli oppositori.

Egitto scontriIn que­sti gior­ni nes­su­no ci ha det­to che la rego­la val­sa per trop­po tem­po è che ci sono dit­ta­to­ri buo­ni e dit­ta­to­ri cat­ti­vi, regi­mi ami­ci e regi­mi cana­glia, auto­cra­ti che garan­ti­sco­no sta­bi­li­tà e altri peri­co­lo­si per la demo­cra­zia. La veri­tà arri­va evi­den­te da Tunisi e dal Cairo: tut­ti i regi­mi fan­no sem­pli­ce­men­te orro­re. Queste rivol­te chie­do­no all’Europa e a noi cit­ta­di­ni di demo­cra­zie (più o meno) matu­re di pren­de­re posi­zio­ne: se gli spa­ri con­tro i mani­fe­stan­ti in Egitto o a Tehran ci fan­no schi­fo, se i gior­na­li­sti ucci­si in Russia e le squa­dre del­la mor­te in Darfur sono rivol­tan­ti, dovrem­mo com­por­tar­ci di con­se­guen­za. Se ini­zias­si­mo a vota­re badan­do a chi ha come allea­ti Gheddafi e Putin, lan­ce­rem­mo un mes­sag­gio agli oppo­si­to­ri libi­ci e ai gior­na­li­sti rus­si: direm­mo loro che non sono soli.

La Realpolitik esi­ge equi­li­brio, si può obiet­ta­re. E non è un’osservazione pri­va di fon­da­men­to. Ma affer­ma­re che la rivo­lu­zio­ne non vada appog­gia­ta per­ché scac­cia­re il despo­ta può por­ta­re al pote­re un lea­der peg­gio­re, signi­fi­ca rinun­cia­re a com­bat­te­re con le armi del­la poli­ti­ca. Certo, sarà neces­sa­rio con­vin­ce­re gli egi­zia­ni che una tran­si­zio­ne mor­bi­da è pre­fe­ri­bi­le al caos e che ele­zio­ni rapi­de non sono neces­sa­ria­men­te ele­zio­ni demo­cra­ti­che. Come rile­va­to da Emma Bonino, sen­za isti­tu­zio­ni for­ti è dif­fi­ci­le imma­gi­na­re esi­ti real­men­te demo­cra­ti­ci. Non è con iso­la­zio­ni­smo e intran­si­gen­za che si ren­de un miglior ser­vi­zio alle popo­la­zio­ni schiac­cia­te dai regi­mi. Ma non biso­gna con­fon­de­re Realpolitik con accon­di­scen­den­za o com­pli­ci­tà. L’Europa e gli Stati Uniti pos­so­no rin­sal­da­re il loro lega­me col­la­bo­ran­do, legan­do inte­gra­zio­ne e finan­zia­men­ti alla costru­zio­ne d’istituzioni fun­zio­nan­ti e veri­fi­can­do i risul­ta­ti del­le rifor­me demo­cra­ti­che e dei pro­gram­mi di sviluppo.

In fon­do, i ragaz­zi che gri­da­no slo­gan in piaz­za Tarhir ci chie­do­no: «sie­te dav­ve­ro con­ten­ti del­le vostre demo­cra­zie? Sono dav­ve­ro demo­cra­zie com­piu­te? Siete sicu­ri di non poter fare nul­la in pri­ma per­so­na per cam­bia­re le cose che non vi piac­cio­no?». Noi pos­sia­mo dimo­stra­re sul serio, da oggi, che c’importa dav­ve­ro. Quei ragaz­zi sono la rispo­sta che le cose si pos­so­no cambiare.

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