«Sprecano le loro giornate al semaforo, muniti di detersivo e paletta per pulire i vetri delle macchine; aspettano alla fermata della metro per chiedere l’elemosina, o peggio ancora stanno in agguato per rubare il portafoglio».
La reputazione dei rom, la minoranza più povera d’Europa, è a dir poco nera: si dice che non abbiano voglia di lavorare, che rubino, che non sappiano vivere in mezzo agli altri. Ma è proprio così? Il caso spagnolo sembra dimostrare il contrario: «Nella penisola iberica gli zingari trovano un terreno più fertile per l’integrazione» scriveva il New York Times qualche settimana fa.
La Spagna di Zapatero ha infatti dimostrato al Vecchio Continente come anche queste persone possano inserirsi nella società occidentale. Parlano i numeri: il 92% vive in appartamenti e il 50% ha un lavoro regolare. Juan Mato Gomez (responsabile generale del ministero della Salute, Politiche sociali e Uguaglianza) dichiara: «questi risultati sono particolarmente significativi, perché minano alla radice alcuni fra i principali stereotipi sui rom: che non siano in grado di vivere in una casa normale e di mantenere un lavoro fisso».
Ciliegina sulla torta: quasi tutti i bambini rom frequentano la scuola elementare; quindi anche i prerequisiti per l’integrazione sembrano garantiti. Certo, ci sono voluti anni di lavoro e investimenti (ben 130 milioni di euro dal 2007 al 2013), ma i risultati si vedono. La ricetta è stata concentrarsi su questioni molto pratiche, lasciando fuori le ideologie: trovare un lavoro, una casa, preoccuparsi di alzare gli standard di vita.
La domanda sorge spontanea: si può fare altrettanto in Italia? Le risposte sono aperte. Rimane il dubbio che l’integrazione nel Belpaese sia resa più complicata da un retroterra culturale intriso di pregiudizi. Prendiamo ad esempio il rapimento di bambini: la Repubblica sostiene che non ci sia un solo caso accertato in Italia, eppure la favola metropolitana rimane.
Se aggiungiamo le condizioni pietose di molti campi rom, si spiegano anche alcune questioni che riguardano le comunità gitane e il loro rapporto con le città italiane: dalla microcriminalità, all’accatonaggio, all’autoesclusione.
Insomma: zingaro non fa solo rima con scippi e miseria, ma anche con integrazione possibile. Si tratta di un percorso lungo e in salita, dove è richiesto l’impegno tanto delle istituzioni quanto dei singoli cittadini.