“Israele bombarda l’Iran”, potrebbe essere il titolo di un giornale nei prossimi mesi. L’attacco, che si dice distruggerebbe solo le centrali nucleari, potrebbe avvenire entro la fine dell’anno. Tutto dipende secondo gli israeliani dall’efficacia delle sanzioni, che però stanno avendo effetti contrastanti. In altre parole, il “countdown” sta per scadere. I fattori in gioco sono molti e l’opinione pubblica dei paesi occidentali è determinante. Per questo è necessario essere informati sulla posta in gioco. Davanti al rischio di una guerra preventiva, questa volta è necessaria anche una migliore informazione preventiva.
In Medio Oriente lo Stato d’Israele è sempre stato militarmente superiore, ma se l’Iran giungesse a possedere l’arma atomica, il suo potere si ridimensionerebbe. Per questo e altri motivi molti israeliani sono favorevoli a un bombardamento. Non sarebbe il primo attacco di questo genere: tre anni fa un simile piano è stato portato a termine con successo contro la Siria. Ma con l’Iran è tutta un’altra storia.
A differenza del caso siriano e delle guerre in Kosovo e in Afghanistan, ci troviamo di fronte ad uno Stato con un esercito potente e in grado di rispondere con forza. L’Iran si ritorcerebbe contro Israele, gli Usa e i loro alleati nella zona. Avverrebbero attacchi diretti contro Israele, ma anche contro le truppe americane stanziate in Iraq e in Afghanistan. La regione diventerebbe un inferno. Ma il timore più grande è un altro.
A meridione l’Iran si affaccia sul Golfo Persico e sul Golfo di Oman. Questi due golfi comunicano attraverso lo Stretto di Ormuz, di grande importanza strategica. Questo corridoio, largo pochi kilometri, è percorso da petroliere, oleodotti e gasdotti che trasportano quotidianamente il 20% del fabbisogno giornaliero mondiale di petrolio. Sebbene al momento sia controllato dalla marina statunitense, è estremamente difficile impedire all’Iran di bloccarlo: gli iraniani hanno sotterrato lungo tutta la costa un’incalcolabile quantità di missili pronti a essere lanciati contro qualsiasi cosa osi transitare davanti a loro. Se lo stretto si bloccasse per un solo giorno (ma qualche mese è un’ipotesi più realistica) l’economia globale piomberebbe immediatamente in una recessione tale che quella attuale sembrerebbe ridicola al confronto. Il costo della benzina supererebbe i massimi storici in pochi giorni e il prezzo del cibo si alzerebbe esponenzialmente. Queste le preoccupazioni principali che hanno convinto la comunità internazionale della necessità d’interrompere il programma nucleare iraniano. La diplomazia sta lavorando perché Israele trovi strade alternative alla guerra.
Se si decidesse di sferrare comunque un attacco, non sarebbe saggio limitarsi a colpire le centrali nucleari. Per questo motivo gli Stati Uniti, con l’appoggio di Paesi alleati come l’Arabia Saudita, stanno progettando un piano “b”. L’idea è di effettuare un veloce e consistente attacco in cui l’Iran vedrebbe piovere missili su tutto il Paese, tanto sulle caserme quanto sulle fabbriche, tanto sui ponti quanto sui porti. Una guerra lampo come quella in Iraq? Non è detto, ci sono molte diffrenze da prendere in considerazione. Una di queste è che una volta distrutto il potenziale militare del Paese, la strategia dei Pasdaran (l’esercito paramilitare che difende il regime) potrebbe tornare a essere quella degli anni ‘80: autobombe e dirottamenti.
La guerra al terrorismo rischierebbe dunque di giungere al paradossale epilogo di rendere inoffensivo un gruppo di terroristi come Al- Qaeda, ma di convincere la più grande potenza militare del Medio Oriente a effettuare attacchi terroristici mirati e organizzati.
Guido Zichichi