La minaccia fantasma

Collaborazioni esterne,

FantasmaAnche se non ci sono le pro­ve per affer­ma­re con cer­tez­za che l’Iran stia fab­bri­can­do l’atomica, ci sono tut­ti i moti­vi per pen­sa­re che lo stia facen­do. Come tut­ti gli Stati che han­no svi­lup­pa­to le tec­no­lo­gie per costruir­la, anche l’Iran aumen­te­reb­be il pro­prio pote­re di deter­ren­za, oltre a gua­da­gna­re in ter­mi­ni di pre­sti­gio internazionale.

La doman­da a que­sto pun­to è: un Iran dota­to di bom­ba ato­mi­ca la use­reb­be con­tro il suo nemi­co nume­ro uno, ovve­ro lo Stato d’Israele? Improbabile: il regi­me ha una stra­te­gia di poli­ti­ca este­ra cali­bra­ta sul lun­go perio­do, in cui un’esplosione ato­mi­ca in Medio Oriente dif­fi­cil­men­te potreb­be esse­re contestualizzata.

In fon­do la guer­ra è già comin­cia­ta e l’Iran l’ha vin­ta per metà. Controlla un ter­zo dell’Iraq, non­ché la zona di Karbala in Afghanistan (al pun­to che gli Stati Uniti sono dovu­ti scen­de­re a pat­ti). Secondo una simu­la­zio­ne effet­tua­ta dal Pentagono, l’esercito ira­nia­no potreb­be con­qui­sta­re il Qatar in due gior­ni, occu­pa­re il Bahrein in un’ora, affon­da­re una del­le coraz­za­te ame­ri­ca­ne nel Golfo Persico in quin­di­ci minu­ti. Senza con­ta­re che il Libano è sot­to il con­trol­lo dei Pasdaran e la Turchia è tenu­ta per la gola, visto che l’Iran è il suo prin­ci­pa­le for­ni­to­re di energia.

I nemi­ci sto­ri­ci che negli anni 90 han­no impe­di­to la loro esca­la­tion mili­ta­re era­no Saddam Hussein e i tale­ba­ni afgha­ni e… «God bless America!», direb­be­ro gli iraniani.

Molti si doman­da­no per­ché il gover­no ira­nia­no per­si­sta nel­la linea del nuclea­re, nono­stan­te le san­zio­ni e il peri­co­lo di una guer­ra. Il pre­si­den­te del­la Repubblica isla­mi­ca dell’Iran Ahmadinejad ha infat­ti scel­to di ali­men­ta­re i peg­gio­ri sospet­ti a pro­po­si­to, per esem­pio espel­len­do gli osser­va­to­ri inter­na­zio­na­li e impe­den­do loro di visi­ta­re alcu­ne strut­tu­re di dub­bio uti­liz­zo. Come mai?

Fungo atomicoNell’ultimo anno il gover­no ira­nia­no è sta­to al cen­tro di pesan­ti cri­ti­che: dap­pri­ma l’opposizione rifor­mi­sta è sce­sa in piaz­za per pro­te­sta­re con­tro le ele­zio­ni ruba­te. Nei mesi suc­ces­si­vi si sono aper­ti for­ti con­flit­ti anche fra le stes­se fazio­ni che han­no sup­por­ta­to Ahmadinejad nel­la rie­le­zio­ne ed è scon­tro aper­to tra il pre­si­den­te e il lea­der supre­mo Khamenei (la mas­si­ma auro­ri­tà reli­gio­sa e poli­ti­ca del Paese). Quest’ultimo non può man­da­re a casa il gover­no – nono­stan­te in teo­ria ne abbia il pote­re – per­ché il movi­men­to di oppo­si­zio­ne dell’Onda Verde è pron­to a mobi­li­tar­si in ogni momen­to e, con una situa­zio­ne inter­na­zio­na­le così incer­ta, sareb­be trop­po rischio­so tro­var­si sen­za una testa. Ma i rap­por­ti resta­no tesis­si­mi e la lea­der­ship di Ahmadinejad è con­ti­nua­men­te mes­sa in discus­sio­ne. Proprio per que­sto al pre­si­den­te fa como­do lo spau­rac­chio del­la minac­cia americana.

Dalla sua fon­da­zio­ne la Repubblica Islamica basa la sua reto­ri­ca fasci­sta sul­la neces­si­tà di esse­re uni­ti con­tro la minac­cia occi­den­ta­le (in par­ti­co­la­re fir­ma­ta Usa, Gran Bretagna e Israele). Questa stra­te­gia ha del­le soli­de radi­ci sto­ri­che: nel col­po di Stato con­dot­to dal­la Cia nel 1953 (che vide la demo­cra­zia ira­nia­na sop­pian­ta­ta da un tiran­no, lo Scià, che sop­pres­se l’opposizione con meto­di san­gui­na­ri) e nel sup­por­to dato all’Iraq di Saddam Hussein nel cor­so del­la guer­ra con­tro l’Iran negli anni 80. Oggi la for­te minac­cia di un bom­bar­da­men­to – e il suo con­cre­to veri­fi­car­si – costrin­ge­reb­be l’Iran a lot­ta­re con­tro l’attacco strin­gen­do­si spal­la a spal­la col pro­prio gover­no: Ahmadinejad non ver­reb­be più mes­so in discus­sio­ne e avreb­be cam­po libe­ro. Anche se il prez­zo da paga­re fos­se­ro miglia­ia di mor­ti e la distru­zio­ne del­le nuo­ve infrastrutture.

La situa­zio­ne sul­lo scac­chie­re inter­na­zio­na­le è mol­to deli­ca­ta. Che fare quin­di? Un pun­to di par­ten­za sareb­be rico­no­sce­re che le san­zio­ni peg­gio­ra­no la situa­zio­ne. Una del­le stra­de che lascia aper­te più pos­si­bi­li­tà di suc­ces­so nel lun­go perio­do è piut­to­sto quel­la di apri­re le fron­tie­re all’Iran e pro­muo­ve­re l’integrazione eco­no­mi­ca: lo scam­bio cul­tu­ra­le e com­mer­cia­le con­se­guen­te miglio­re­reb­be le con­di­zio­ni di vita del­la popo­la­zio­ne, ali­men­tan­do così nuo­ve ener­gie per com­bat­te­re il dispo­ti­smo. Gli ira­nia­ni han­no dimo­stra­to di esse­re desi­de­ro­si e deter­mi­na­ti a lot­ta­re per la pro­pria liber­tà e i son­dag­gi indi­pen­den­ti effet­tua­ti nel cor­so degli ulti­mi quin­di­ci anni dimo­stra­no che la gen­te vuo­le con­vi­ve­re in pace col resto del mondo.

Se voglia­mo aiu­ta­re l’Iran in un per­cor­so di demo­cra­tiz­za­zio­ne soli­do e dura­tu­ro, dob­bia­mo toglie­re dal voca­bo­la­rio paro­le come san­zio­ni, guer­ra pre­ven­ti­va e bombardamenti.

Guido Zichichi

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