La botte piena e la moglie ubriaca

Alessandro Zanardi,

Paesi emergenti“Il kebab alle due di not­te”, che costa poco ed è sem­pre dispo­ni­bi­le, sin­te­tiz­za per­fet­ta­men­te il dibat­ti­to sui cam­bia­men­ti negli equi­li­bri eco­no­mi­ci inter­na­zio­na­li. Il dilem­ma è: come occi­den­ta­li, dovrem­mo esse­re feli­ci o pre­oc­cu­pa­ti per la cre­sci­ta dei Paesi emer­gen­ti? In sostan­za, si pro­fi­la­no qua­si sem­pre due teorie.

1) L’economia mon­dia­le è un gio­co “a som­ma zero”. Quindi la cre­sci­ta di un Paese deve neces­sa­ria­men­te cor­ri­spon­de­re all’impoverimento di un altro.

2) L’economia mon­dia­le è un gico “win-win”, per cui lo svi­lup­po di un Paese crea mag­gio­ri pos­si­bi­li­tà anche per gli altri.

Entrambe le tesi, pre­se in asso­lu­to, sono sba­glia­te. La rispo­sta miglio­re alla doman­da ini­zia­le infat­ti è: “dipen­de”.

«Da que depen­de?», can­te­reb­be il buon Jarabe de Palo. Dalla dire­zio­ne degli scam­bi che si gene­ra­no. Finché con­ti­nuia­mo a com­pra­re beni dai Paesi emer­gen­ti – ven­den­do loro poco o nien­te in cam­bio – solo per­ché ci costa­no mol­to meno che se fos­se­ro pro­dot­ti dal­le nostre par­ti, è vali­da la pri­ma tesi. Estremizzando, la situa­zio­ne è que­sta: loro lavo­ra­no di più, noi ci pren­dia­mo i frut­ti; loro si arric­chi­sco­no, noi ci impoveriamo.

In que­sto caso stia­mo “can­ni­ba­liz­zan­do” la nostra eco­no­mia, per pigri­zia e scar­sa lun­gi­mi­ran­za. Se cre­dia­mo che sia con­ve­nien­te com­pra­re una radio a pochi euro, o una bor­sa con­traf­fat­ta, non tenia­mo con­to di tut­ti i costi nasco­sti che que­sto scam­bio impli­ca: per­di­ta di lavo­ro per le nostre azien­de, finan­zia­men­to di un siste­ma con scar­se tute­le socia­li e sfrut­ta­men­to del­la povertà.

Finché pen­sia­mo solo ad appro­fit­ta­re dei van­tag­gi di bre­ve ter­mi­ne gene­ra­ti da que­sta situa­zio­ne di squi­li­brio eco­no­mi­co, non fac­cia­mo altro che sca­var­ci la fos­sa con le nostre mani.

Se inve­ce sare­mo in gra­do di offri­re ai Paesi emer­gen­ti qual­co­sa in cam­bio, che per loro sia uti­le, eser­ci­tan­do al con­tem­po pres­sio­ni con­cre­te per­ché ven­ga­no imple­men­ta­te mag­gio­ri tute­le socia­li, abbia­mo buo­ne pro­ba­bi­li­tà di rica­de­re nel­la secon­da tesi (cre­sci­ta collettiva).

Finora pur­trop­po, a par­te le bel­le paro­le, qua­si tut­te le vol­te che le mul­ti­na­zio­na­li occi­den­ta­li han­no dovu­to sce­glie­re tra una ridu­zio­ne dei pro­fit­ti e lo sfrut­ta­men­to dei lavo­ra­to­ri, han­no opta­to per la secon­da scel­ta. Crediamo di esse­re fur­bi ma, come dimo­stra­no i fat­ti, non andia­mo tan­to lontano.

In futu­ro – come occi­den­ta­li – non pos­sia­mo aspet­tar­ci di man­te­ne­re lo stes­so pote­re d’acquisto attua­le, se non gra­zie a un pro­gres­so tec­no­lo­gi­co (cioè facen­do svol­ge­re a del­le mac­chi­ne una par­te del lavo­ro com­piu­to oggi dal­le per­so­ne più povere).

Insomma, dob­bia­mo ave­re pau­ra dei cam­bia­men­ti in cor­so o guar­da­re avan­ti con otti­mi­smo? Dipende da noi e dal­le tan­te scel­te che fac­cia­mo – più o meno con­scia­men­te – ogni giorno.

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