“Il kebab alle due di notte”, che costa poco ed è sempre disponibile, sintetizza perfettamente il dibattito sui cambiamenti negli equilibri economici internazionali. Il dilemma è: come occidentali, dovremmo essere felici o preoccupati per la crescita dei Paesi emergenti? In sostanza, si profilano quasi sempre due teorie.
1) L’economia mondiale è un gioco “a somma zero”. Quindi la crescita di un Paese deve necessariamente corrispondere all’impoverimento di un altro.
2) L’economia mondiale è un gico “win-win”, per cui lo sviluppo di un Paese crea maggiori possibilità anche per gli altri.
Entrambe le tesi, prese in assoluto, sono sbagliate. La risposta migliore alla domanda iniziale infatti è: “dipende”.
«Da que depende?», canterebbe il buon Jarabe de Palo. Dalla direzione degli scambi che si generano. Finché continuiamo a comprare beni dai Paesi emergenti – vendendo loro poco o niente in cambio – solo perché ci costano molto meno che se fossero prodotti dalle nostre parti, è valida la prima tesi. Estremizzando, la situazione è questa: loro lavorano di più, noi ci prendiamo i frutti; loro si arricchiscono, noi ci impoveriamo.
In questo caso stiamo “cannibalizzando” la nostra economia, per pigrizia e scarsa lungimiranza. Se crediamo che sia conveniente comprare una radio a pochi euro, o una borsa contraffatta, non teniamo conto di tutti i costi nascosti che questo scambio implica: perdita di lavoro per le nostre aziende, finanziamento di un sistema con scarse tutele sociali e sfruttamento della povertà.
Finché pensiamo solo ad approfittare dei vantaggi di breve termine generati da questa situazione di squilibrio economico, non facciamo altro che scavarci la fossa con le nostre mani.
Se invece saremo in grado di offrire ai Paesi emergenti qualcosa in cambio, che per loro sia utile, esercitando al contempo pressioni concrete perché vengano implementate maggiori tutele sociali, abbiamo buone probabilità di ricadere nella seconda tesi (crescita collettiva).
Finora purtroppo, a parte le belle parole, quasi tutte le volte che le multinazionali occidentali hanno dovuto scegliere tra una riduzione dei profitti e lo sfruttamento dei lavoratori, hanno optato per la seconda scelta. Crediamo di essere furbi ma, come dimostrano i fatti, non andiamo tanto lontano.
In futuro – come occidentali – non possiamo aspettarci di mantenere lo stesso potere d’acquisto attuale, se non grazie a un progresso tecnologico (cioè facendo svolgere a delle macchine una parte del lavoro compiuto oggi dalle persone più povere).
Insomma, dobbiamo avere paura dei cambiamenti in corso o guardare avanti con ottimismo? Dipende da noi e dalle tante scelte che facciamo – più o meno consciamente – ogni giorno.