Peccavo d’ingenuità quando, due anni fa, ho scritto l’articolo Moschee sì, moschee no. Peccavo d’ingenuità perché credevo che da quel momento in poi qualcosa sarebbe cambiato: la questione della costruzione di una moschea a Milano però non si è spostata di un millimetro.
Probabilmente noi comuni musulmani saremmo dovuti andare a lezione da Gheddafi, che nel giro di poche ore è riuscito a convertire tre donzelle a quella che secondo lui sarà presto la religione d’Europa. Per carità, non mi ha mai sfiorata il desiderio di fare del proselitismo religioso; piuttosto mi riferisco alle capacità del leader libico di essere ascoltato e baciato. Fossimo stati suoi allievi, probabilmente ora avremmo un paio di moschee, altro che una.
In questi giorni di dibattito sull’ipotetica edificazione di un luogo di culto musulmano nel capoluogo lombardo, mi torna in mente una frase del professor Branca: «per gli amici tutto; per i nemici la legge». Detto in altre parole: «la legge per gli amici viene interpretata, per i nemici applicata». In questo caso non si tratta solo di legge. Se una personalità musulmana nota come Gheddafi preannuncia una prossima islamizzazione del continente nessuno protesta; ma se un singolo credente chiede che venga definitivamente sciolto il nodo della moschea milanese (problema che si protrae da anni e la cui risoluzione gioverebbe non solo ai musulmani) si suona l’allarme rosso.
In realtà si tratta di un problema di ordine pubblico, che concerne la libertà di culto garantita dalla Costituzione del nostro Paese. Parlo da cittadina italiana prima che da musulmana: sono sempre stata abituata a pregare in casa o in chiesa, visto che la maggior parte delle strutture chiamate “centri islamici” sono scantinati e garage. Il diritto a pregare per i musulmani è una questione che riguarda l’intera città: il trasferimento forzato dei fedeli in strada e sui marciapiedi crea disagi nei quartieri (vedi il caso emblematico di viale Jenner). Non si può che trovare una sede definitiva ai credenti milanesi, che per ora attendono inutilmente da oltre due anni.
Negli stessi giorni in cui a New York Obama si schiera con lungimiranza a favore dell’integrazione e del dialogo inter-religioso«È chiaro che solo il 3% dei musulmani prega nei luoghi di culto», afferma l’onorevole De Corato. Mi permetterei di chiedere al vicesindaco: senza una moschea e delle strutture accessibili, dove vogliamo andare? Come risponde l’Italia alla richiesta di una struttura in cui pregare? Dopo l’appellativo di terrorista e dopo l’episodio di Bologna (un maialino da passeggio è stato accompagnato per fare i suoi bisogni sul terreno dove si prevede la costruzione di un minareto), un’altra ciliegina completa la tripletta dei possibili responsi.
Lubna Ammoune