Santoro sbandiera i numeri. In mezzo alla tempesta di polemiche che investe la Rai, il direttore di Annozero difende il suo programma facendo appello agli incassi: la trasmissione «fattura 41 milioni di euro a fronte di 27 milioni di costi di produzione».
«Bravo Michele!» verrebbe da dire. Un perfetto impiegato che lavora bene per l’azienda e festeggia per gli ascolti: cinque milioni di telespettatori alla prima puntata. Risultati «nettamente superiori alla media di rete», con il 19,62% di share.
Peccato che l’informazione, almeno quella con la “I” maiuscola, non si faccia con gli incassi e guadagnare non voglia dire necessariamente fare bene il proprio mestiere di giornalisti. Gli ingredienti di un servizio di qualità sono la lucidità, il coraggio e l’obiettività; non per forza lo share televisivo. Si insinua invece il sospetto che l’ampio seguito della trasmissione sia da ricondurre ai litigi e agli insulti – di cui il programma è ricco – piuttosto che a contenuti significativi. Le numerose sfuriate in diretta ricordano più il Grande fratello che un servizio pubblico al servizio del cittadino.
La televisione pubblica italiana, con i suoi Minzolini e Santoro, sembra produrre più rancori, polemiche e divisioni che riflessioni aperte e confronti; proprio quelli che mancano in Italia. Se è vero che per cambiare uno Stato si può cominciare dal basso, la rinascita della vita politica del Bel Paese potrebbe iniziare proprio dagli studi della Rai. Per fare del sano giornalismo bisogna evitare di ricreare in onda il clima parlamentare, mettendo da parte il più possibile opinioni personali e partigianerie.
Il caso nasce perché i vertici Rai non hanno ancora rinnovato il contratto a Travaglio e a Vauro, collaboratori del programma. Santoro commenta ironico: «L’ imprenditore rinuncia a produrre i bicchieri solo perché gli sto antipatico; ci mette su la liquidazione e mi chiede di andare via». Poi conclude: «non ha senso comportarsi in modo da favorire la concorrenza». Certe affermazioni lasciano basiti, soprattutto considerando che il loro autore si riempie spesso la bocca di accanite critiche contro la mentalità imprenditoriale dei suoi “avversari”.
In un mondo utopico l’informazione dovrebbe essere assolutamente indipendente dalla politica; nella nostra Italia ci accontenteremmo che i giornalisti fossero giudicati per la qualità dei servizi, non per i ricavi.