«Sessista, omofobico e pieno di stereotipi». Si tratta delle accuse rivolte dalla rivista americana Ms all’ultimo film d’animazione sfornato dalla Pixar, Toy Story 3 – La grande fuga. Le critiche mosse dell’autrice Natalie Wilson sono taglienti: «Contesto la netta prevalenza di personaggi maschili (siamo nell’ordine di 7 a 1), la maniera poco elegante con cui vengono ritratti i personaggi femminili (dall’assillante madre di Andy all’iper-emotiva Barbie) e la rappresentazione di Ken come un gay fashionista con la predilezione per l’inchiostro viola». Il rischio evidenziato da numerose ricerche è che i bambini che guardano alla televisione programmi con clichè di genere crescano interiorizzando idee stereotipate sulla femminilità e la mascolinità.
La questione va ben oltre una recensione cinematografica impietosa. Quando ci si chiede perché le donne che ricoprono ruoli dirigenziali siano nettamente meno degli uomini, una delle possibili risposte è appunto: interiorizzazione degli stereotipi di genere. In altre parole: se in media le donne sono meno sicure di sè dei colleghi maschi, una delle ragioni risiede nell’immagine da “principessina” che influenza le loro ambizioni sin dalla tenera età.
L’artista coreana Jeong Mee Yoon nel suo ultimo progetto (The Pink & Blue Project) ha analizzato proprio questa tendenza. Nel suo blog personale racconta: «Quando mi sono resa conto che mia figlia e tutte le sue coetanee si circondavano di giocattoli e vestiti rosa, ho chiesto loro di farsi fotografare con i propri oggetti preferiti». Il risultato è a metà tra il divertente e l’allarmante: decine di bimbe che sorridono tra le pareti confetto delle loro camere, con bambole, peluches, mollette… tutto rigorosamente in tinte pastello. A detta di Jeong Mee «la causa del fenomeno è da ricercarsi nell’influenza di pubblicità pervasive, come quella di Barbie e di Hello Kitty. Queste reclames spingono le ragazzine a vestirsi di rosa per sembrare più femminili».
Il blog inglese Pink Stinks – letteralmente “Rosa Puzza” – punta il dito contro fenomeni simili, accusandoli di essere responsabili, sul lungo periodo, di un’emancipazione femminile “zoppa”. L’agognata meta delle pari opportunità si potrebbe raggiungere proponendo alle adulte di domani modelli intelettualmente stimolanti, al posto di giocattoli leziosi : “role model” in opposizione a “top model” insomma.
Una tesi opposta emerge però dagli esperimenti di un manipolo di ricercatori dell’Università di Atlanta. L’equipe, dopo aver dato a un gruppo di macachi dei giocattoli, si è resa conto che le preferenze dei primati assomigliavano a quelle degli umani: macchinine e lego per i piccoli macachi e bamboline per le scimmiette. Come a dire: le differenze di genere non derivano solo dal sistema delle aspettative sociali, ma hanno anche un fondamento genetico.
Cosa risponderebbero le femministe incallite di Pink Stinks agli scienziati di Atlanta? Dove sia la verità è ancora difficile da dire con certezza. Certo, considerando che il tasso di occupazione femminile in Italia è pari al 45,1% – contro il 57,8% della Francia, il 60,2% della Germania e il 72,8% della Danimarca (dati Eurispes) – forse qualche domanda sarebbe meglio porsela.