Una scienza troppo umana

Collaborazioni esterne,

MedicinaÈ tipi­ca dei nostri tem­pi la con­vin­zio­ne che la scien­za sia net­ta­men­te divi­sa dal­la filo­so­fia, che la pri­ma sia supe­rio­re alla secon­da e che il meto­do scien­ti­fi­co sia lo stru­men­to per otte­ne­re del­le rispo­ste cer­te e inat­tac­ca­bi­li. Ne sia­mo così sicuri?

Immaginiamo di lasciar cade­re un ogget­to dall’alto: si osser­va che que­sto pre­ci­pi­ta ver­so il bas­so. L’uomo di scien­za cer­ca una leg­ge capa­ce di spie­ga­re que­sto feno­me­no e, tro­va­ta la leg­ge, fa rica­de­re l’oggetto un’altra vol­ta per con­fer­ma­re le pro­prie ipo­te­si. A que­sto pun­to è sod­di­sfat­to. Il filo­so­fo con­ti­nua inve­ce a non dar­si pace. Nessuno infat­ti è in gra­do di dimo­stra­re logi­ca­men­te che, descrit­ta una sequen­za di even­ti, que­sta si ripro­du­ca sem­pre ugua­le nel futu­ro. Nel XVIII seco­lo il filo­so­fo scoz­ze­se David Hume par­la­va di «scien­za che si basa sull’abitudine, su del­le leg­gi gene­ra­li indi­mo­stra­bi­li». Questo ovvia­men­te è cau­sa di for­te incer­tez­za: come esclu­de­re che ciò che nel pas­sa­to non era rite­nu­to pos­si­bi­le, un gior­no pos­sa diventarlo?

Pensiamo per esem­pio alla medi­ci­na: facen­do pro­prio il meto­do scien­ti­fi­co si è note­vol­men­te evo­lu­ta, rima­nen­do però inca­pa­ce di for­ni­re del­le rispo­ste asso­lu­te. È l’incognita che ha dovu­to affron­ta­re Carlo Alberto Defanti, il neu­ro­lo­go che ha avu­to come pazien­te Eluana Englaro. La sua dia­gno­si, in quel par­ti­co­la­re caso, è sta­ta che lo sta­to vege­ta­ti­vo fos­se irre­ver­si­bi­le: deci­sio­ne che ha incon­tra­to osti­li­tà non solo in ambi­to poli­ti­co e reli­gio­so, ma anche da par­te di suoi colleghi.

Tralasciando gli aspet­ti eti­ci e giu­ri­di­ci, volen­do pro­va­re a pren­de­re una deci­sio­ne basan­do­si solo sui dati rac­col­ti scien­ti­fi­ca­men­te, è evi­den­te che non è pos­si­bi­le una solu­zio­ne con­di­vi­sa. Come è pos­si­bi­le quin­di per un medi­co fare del­le scel­te che pos­so­no rive­lar­si così inci­si­ve? Nel caso di Eluana Englaro, l’operato del dot­tor Defanti è risul­ta­to inat­tac­ca­bi­le dal pun­to di vista pro­fes­sio­na­le, come ha con­fer­ma­to l’ordine dei Medici chia­ma­to a espri­mer­si sul suo caso. Allo stes­so tem­po non si può par­la­re di “cer­tez­za” nel caso di Eluana Englaro, anche per­ché – così si espri­me Carlo Alberto Defanti – «In medi­ci­na – e in gene­ra­le nel­le scien­ze natu­ra­li – non esi­sto­no cer­tez­ze asso­lu­te, ma solo altis­si­me pro­ba­bi­li­tà. Si può solo dire per­ciò che nel caso di Eluana la pro­ba­bi­li­tà che il suo sta­to fos­se irre­ver­si­bi­le era ele­va­tis­si­ma. Per quel che mi riguar­da, ho for­mu­la­to que­sta pro­gno­si quat­tro anni dopo il trau­ma e l’ho con­fer­ma­ta nei 13 anni successivi».

L’atteggiamento del medi­co è, o dovreb­be esse­re, quel­lo di uno scien­zia­to con­sa­pe­vo­le che le pro­prie teo­rie pos­so­no esse­re fal­si­fi­ca­te, che le affer­ma­zio­ni oggi rite­nu­te cor­ret­te non sono eter­ne, che esi­ste un’enorme respon­sa­bi­li­tà che pesa su ciò che oggi vie­ne con­si­de­ra­ta veri­tà scien­ti­fi­ca. È ine­vi­ta­bi­le chie­der­si se, in una scien­za così uma­na come la medi­ci­na, sia pos­si­bi­le tro­va­re uno sta­bi­le pon­te tra teo­ria e pra­ti­ca, o se il com­pi­to del medi­co sia solo quel­lo di soste­ne­re una teo­ria, nel­la spe­ran­za che il futu­ro pos­sa confermala.

Gianluca Castelluzzo

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