All’alba del secondo dopoguerra, quando ancora i fumi esalavano dalle macerie e si contavano i morti, Rossellini girava “Roma città aperta”: la stagione del Neorealismo era appena cominciata. Molti furono gli artisti che vollero raccontare la realtà italiana dopo aver subito la dittatura fascista: Fellini, De Sica, Lattuada e Lina Wertmüller esportavano storie nostrane, commuovendo Hollywood. Gli eredi di questa grande tradizione cinematografica hanno spesso sentito il peso di un passato così impegnativo, tanto che negli anni successivi si parlò di crisi del cinema italiano. Oggi, finalmente, stiamo assistendo ad una rinascita.
Al festival di Cannes vince come miglior attore protagonista Elio Germano in un film di Daniele Lucchetti intitolato “La nostra vita”. Una vittoria che arriva sulla scia di successi come “Il Divo” e “Gomorra”. Accolti molto bene dal pubblico straniero, in Italia sono invece stati investiti da un mare di critiche. Lo stesso è accaduto con “Draquila”, documentario sullo scenario post-terremoto dell’Aquila realizzato quest’anno da Sabina Guzzanti. Mentre la stampa estera ha applaudito il lavoro per tre minuti in una sala stracolma, in Italia molti hanno ritenuto che film come questo danneggiassero l’immagine nazionale all’estero. Forse si dimentica che anche i capolavori del Neorealismo condividono con le opere più recenti questa doppia personalità: se da un lato contribuiscono a creare il mito del Belpaese, dall’altro mettono in luce le arretratezze di “casa nostra”, non risparmiando critiche né al Nord, né al Sud. L’immagine ironica e al tempo stesso drammatica che emerge dell’Italia non era allora, né è oggi, esente da difetti. Di fronte a storie che dipingono un mondo autentico, anche se a volte scomodo, per qualcuno è più rassicurante una Tv fatta di reality che, a dispetto del nome, sono ben distanti dall’essere un sipario aperto sul palcoscenico della realtà.
Rossella Ciarfaglia
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