La roulette della noia

Collaborazioni esterne,

Roulette russaÈ noti­zia del­la set­ti­ma­na scor­sa il fol­le gio­co di tre­di­ci ragaz­zi­ni geno­ve­si che han­no sfi­da­to la mor­te attra­ver­san­do l’autostrada di cor­sa su un trat­to del­la A7 Milano-Genova. Tredici anni è anche l’età del­la mag­gior par­te dei pro­ta­go­ni­sti di que­sta sto­ria, qual­cu­no un po’ più gran­de, maschi ma anche fem­mi­ne. Le moti­va­zio­ni che han­no for­ni­to per giu­sti­fi­ca­re il gesto alla pat­tu­glia del­la Polstrada che li ha fer­ma­ti e iden­ti­fi­ca­ti è sta­ta la noia, il biso­gno di mostrar­si corag­gio­si davan­ti al grup­po e i video rea­liz­za­ti coi tele­fo­ni­ni da cari­ca­re su Youtube. Non è la pri­ma vol­ta che epi­so­di del gene­re suc­ce­do­no. Basta ricor­da­re che lo stes­so trat­to auto­stra­da­le è sta­to tea­tro qual­che anno fa di un lan­cio di pie­tre sul­le auto in tran­si­to, dal bosco che scor­re accan­to alla stri­scia di asfalto.

Certo vie­ne da pen­sa­re che la peri­fe­ria geno­ve­se non offra mol­to ai più gio­va­ni. Non sto cer­can­do giu­sti­fi­ca­zio­ni gra­tui­te per un gesto che pote­va costa­re caro in ter­mi­ni di vite uma­ne. Semplicemente è un dato di fat­to la cro­ni­ca man­can­za di luo­ghi di aggre­ga­zio­ne che non sia­no i bar o i fami­ge­ra­ti cen­tri com­mer­cia­li cre­sciu­ti come fun­ghi negli ulti­mi anni in Valpolcevera. Non è dif­fi­ci­le imma­gi­na­re che, dopo pome­rig­gi tra­scor­si a cion­do­la­re fra un loca­le e l’altro, a vaga­re per ore davan­ti a vetri­ne sem­pre ugua­li sot­to la mede­si­ma luce arti­fi­cia­le esta­te o inver­no che sia, a qual­cu­no sia sal­ta­to in men­te che il modo miglio­re per pro­va­re un po’ di adre­na­li­na fos­se cor­re­re da una spon­da all’altra di una car­reg­gia­ta, in un trat­to auto­stra­da­le insi­dio­so e pie­no di curve.

Ma la cosa più allu­ci­nan­te sono sta­te le giu­sti­fi­ca­zio­ni che alcu­ni geni­to­ri han­no pro­va­to ad accam­pa­re per i loro figli. A onor di cro­na­ca la mag­gior par­te ha giu­sta­men­te rim­pro­ve­ra­to i ragaz­zi e rin­gra­zia­to gli agen­ti per aver sal­va­to loro la vita. Quelli che han­no cer­ca­to di mini­miz­za­re l’accaduto, ridu­cen­do­lo ad una sem­pli­ce bra­va­ta se la sono addi­rit­tu­ra pre­sa con i poli­ziot­ti, col­pe­vo­li di aver esa­ge­ra­to, di aver crea­to tan­to rumo­re per uno stu­pi­do gio­co per cui sareb­be sta­ta suf­fi­cien­te una raman­zi­na. Genitori sem­pre pron­ti a giu­sti­fi­car­li di fron­te a ogni erro­re, che li difen­do­no a spa­da trat­ta, anche nel­le più tra­gi­che cir­co­stan­ze, sono for­se il male peg­gio­re che pos­sa capi­ta­re ai gio­va­ni. È un atteg­gia­men­to che si riscon­tra in diver­si con­te­sti, ho let­to di mam­me pron­te a sca­gliar­si con­tro l’insegnante reo di aver scrit­to una nota sul dia­rio del figlio. È più faci­le pen­sa­re che il pro­prio ragaz­zo sia peren­ne­men­te dal­la par­te del­la ragio­ne inve­ce che con­fron­tar­si con lui e i pro­ble­mi che deve affron­ta­re ogni gior­no, affian­can­do­lo nel­le sue scel­te, non impo­nen­do­gli solu­zio­ni, ma per­met­ten­do­gli di matu­ra­re le pro­prie espe­rien­ze. È una scor­cia­to­ia che mol­ti padri e mol­te madri per­cor­ro­no pen­san­do sia il modo miglio­re per far cre­sce­re un indi­vi­duo nel­la socie­tà del­la com­pe­ti­zio­ne sfre­na­ta. In un Paese dove le più ele­men­ta­ri rego­le socia­li ven­go­no soven­te cal­pe­sta­te per inte­res­se per­so­na­le, mi pare ovvio che i nostri figli segua­no l’esempio.

Per quan­to riguar­da la que­stio­ne del video, sco­po prin­ci­pa­le del­la bra­va­ta, anche que­sta sem­bra esse­re un’emanazione diret­ta di com­por­ta­men­ti esi­bi­zio­ni­sti­ci con cui i gio­va­ni vivo­no a stret­to con­tat­to ogni gior­no. In Italia i pro­vi­ni per par­te­ci­pa­re ai nume­ro­si rea­li­ty tele­vi­si­vi sono affol­la­tis­si­mi da un pub­bli­co ete­ro­ge­neo che si met­te in fila per par­te­ci­pa­re alla fero­ce rou­let­te del­la sele­zio­ne. Tutto per un posto al sole, qual­che atti­mo di noto­rie­tà a favo­re di tele­ca­me­ra. Per gli esi­gui for­tu­na­ti che sfon­da­no pos­so­no tra­sfor­mar­si in ore e mesi di esi­bi­zio­ne sfre­na­ta davan­ti al pub­bli­co tele­vi­si­vo. Ma il pun­to è che tut­ti gli altri comun­que ci pro­va­no per­ché è più impor­tan­te una com­par­sa­ta tele­vi­si­va che una buo­na ma lun­ga e fati­co­sa istru­zio­ne. È la via più sem­pli­ce per il suc­ces­so, con buo­na pace di paro­le come “espe­rien­za sul cam­po” e “appren­di­sta­to”, per­cor­si ben più tor­tuo­si che pochi oggi deci­do­no di intra­pren­de­re. Anche per i ragaz­zi­ni di Bolzaneto era fon­da­men­ta­le che le loro ripre­se fos­se­ro immor­ta­la­te dal­la pic­co­la tele­ca­me­ra del tele­fo­ni­no. Arrivati a casa, anco­ra sul­le pro­prie gam­be, con una dose di adre­na­li­na in cor­po, avreb­be­ro cari­ca­to le imma­gi­ni nel cir­cui­to di Youtube e si sareb­be­ro esal­ta­ti per ore a rive­der­le pen­san­do che mol­ti in quel­lo stes­so momen­to era­no davan­ti allo scher­mo. Qui, non è tan­to la noto­rie­tà che si cer­ca, quan­to il pia­ce­re voyeu­ri­sti­co di rimi­rar­si nel pro­prio pre­sun­to corag­gio, di eter­na­re un momen­to e ren­der­lo con­di­vi­si­bi­le a tutti.

Per tut­to ciò vale la pena rischia­re la vita nel 2010. Per un poco di visi­bi­li­tà su inter­net agli occhi dei pro­pri coe­ta­nei che guar­da­no una bra­va­ta dal diva­no di casa.

Matteo Quadrone

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