È sotto gli occhi di tutti quanto negli ultimi decenni gli esseri umani abbiano in media ridotto il loro rispetto per ciò che li circonda – si tratti di ambiente, di diritti umani o di semplice cortesia per il prossimo – immolando tutto questo sull’altare di un “progresso” orientato al materialismo, che finisce per tradire il suo principale scopo: migliorare la qualità della vita delle persone. Viene naturale domandarsi dove porti questa strada infelice e se non sia il caso di compiere una netta inversione di marcia. Questa tendenza è stata poi accompagnata di recente da un primato tutto italiano: il progressivo distaccamento dal significato delle parole.
Succede infatti sempre più frequentemente di trovare termini usati a sproposito nelle pubbliche dichiarazioni. Un cambiamento “silenzioso” e strisciante che dovrebbe destare più attenzione di quanta ne abbia sinora ricevuta, perchè possa essere fermato prima che diventi la normalità: quando la soglia dell’attenzione pubblica si abbassa è un segnale forte, significa diventare ciechi a ciò che sta realmente succedendo. Gli esempi negli ultimi mesi si sprecano, in realtà è sufficiente aprire un qualunque quotidiano o ascoltare un telegiornale per rendersi conto di quanto le parole usate per muovere l’opinione pubblica siano sempre più “fuori posto”. Dire che la Protezione Civile viene «perseguitata», quando la magistratura sta semplicemente compiendo delle regolari indagini sugli illeciti, o affermare che chi esce con le escort è un “galantuomo”; dichiarare «no a leggine, fiducia nel Tar» e il giorno dopo varare un decreto legge che cambia le regole per la presentazione delle liste elettorali; definire straordinari e urgenti i lavori per il 150° anniversario dell’unità d’Italia, o dire che chi esce per mangiare un panino e ritarda una consegna è stato «trattenuto con violenza». Affermare che la sinistra «vuole fare dell’Italia uno Stato di polizia dominato dall’oppressione tributaria e giudiziaria», non si allontana molto da quando nel dopoguerra si faceva girare la voce che i comunisti «mangiassero i bambini»: spettri del passato che ritornano. Questo ragionamento non ha un colore politico e naturalmente è altrettanto valido per chi parla di “dittatura” nei confronti del centro-destra, dimenticando apparentemente che il governo attuale è in carica perché è stato regolarmente votato dalla maggioranza degli italiani (se la sinistra ha da ridire sul conflitto d’interessi perché non se n’è occupata quando era al governo?).
Come esseri umani, abbiamo un dono: la parola, la capacità di rapportare ragionamenti astratti al mondo reale. Se ci priviamo di questa preziosa dote, finiamo inevitabilmente per fare un bel po’ di passi indietro. A questo si somma, in una pericolosa combinazione, il fatto che in Italia stiamo perdendo la capacità d’indignarci. Il meccanismo è semplice da spiegare: come un medico che lavora in sala operatoria vedendo morire persone tutti i giorni non può disperarsi in continuazione, così per noi in ambito politico la continua esposizione a eventi disdicevoli sta diventando fisiologica.
Quante volte ci è capitato di sentire frasi come: «tutti rubano», «tutti evadono le tasse», «i giudici sono comunisti», «i politici sono corrotti»; finchè lentamente ci scivolano dentro e finiamo per crederci. Non è vero. I giudici garantiscono il rispetto della legge e la maggior parte degli italiani fortuntamente le tasse le pagano, altrimenti il sistema sociale non potrebbe reggere. Affermare il contrario è solo un modo perché chi infrange la legge si senta più protetto, più normale. Come dice De Gregori nella canzone “La Storia”: «poi ti dicono tutti sono uguali e tutti rubano alla stessa maniera, ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera».
Teniamo ben aperti gli occhi, insieme alle orecchie e alle nostre teste, se non vogliamo diventare complici di un cambiamento in cui non ci riconosciamo. Quando incontriamo una parola usata a sproposito, da qualunque parte venga, non lasciamola passare inosservata.
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