Nessuno vorrebbe avere problemi con la giustizia negli Stati Uniti. Lì le accuse e i reati non cadono in prescrizione. Poco importa se la persona in questione sia un genio indiscusso del panorama cinematografico internazionale. Lì non si propone di riservare l’immunità giudiziara per le cariche più alte dello Stato, figuriamoci per un cineasta. E così, a 32 anni di distanza, tornano minacciosi quei fantasmi che il regista franco-polacco Roman Polaski pensava ormai di aver scacciato. Era il 1977, anno dello scandalo: Polanski venne accusato di aver drogato e in seguito abusato di una ragazzina di 13 anni. Pur ammettendo la propria colpevolezza, egli affermò che la ragazza era stata consenziente e che il rapporto fosse stato favorito dalla stessa madre al fine di promuovere la carriera della figlia nel mondo cinematografico. Il cosiddetto “casting couch”. Dopo aver passato 42 giorni nel carcere di Chino (California) per il periodo di valutazione Polanski, temendo la reclusione in carcere, si rifugiò in Europa. Da allora ha sempre vissuto tra Polonia e Francia evitando accuratamente di tornare negli Stati Uniti.
Il 26 settembre 2009, in seguito al mandato internazionale emesso dagli Usa, Polanski è stato fermato dalla polizia elevetica a Zurigo, proprio dove avrebbe dovuto ricevere un premio cinematografico. Subito sono fioccate le polemiche contro l’arresto. La petizione, firmata da alcuni nomi autorevoli del mondo del cinema, afferma che «è inammissibile servirsi di un evento culturale a carattere internazionale per arrestarlo».
È giusto che a più di 30 anni dall’incidente un uomo di 76 anni, che non costituisce alcun pericolo per la società e la cui arte e reputazione sono chiaramente visibili, debba scontare la pena? È giusto condannarlo nonostante abbia ottenuto ormai il perdono della vittima? Al di là delle legislazioni vigenti in ciascun Paese, si può dire che la risposta dipenda in buona parte dall’idea che ciascuno ha di giustizia. I più radicali probabilmente non considereranno valida alcun tipo di attenuante e, nonostante il tempo trascorso, sosterranno la necessità di fare scontare la pena “tout court”. Posizioni più moderate e per così dire sensibili, potrebbero invece tener conto anche della travagliata biografia del regista. Vero è che alla luce dei fatti è stata commessa una violenza sessuale su una ragazza minore di 14 anni e il colpevole non ha mai scontato la sua pena, sottraendosi alle proprie responsabilità. Al di là della posizione adottata da ciascuno, ci sono molti elementi su cui riflettere.